di Giorgia Trombetta

Il greenwashing è una tattica di marketing utilizzata per presentare come rispettose dell’ambiente, merci, attività o azioni di un’organizzazione o azienda, anche se, di fatto, non lo sono. La parola significa letteralmente “lavaggio verde”, e maschera, sotto una serie di promesse o frasi fatte, la mancanza di sostenibilità.

Da quando, in tempi recenti, si è iniziato a prestare attenzione alle condizioni ambientali e climatiche del pianeta, per i brand di tutto il mondo è diventato fondamentale essere, almeno in parte, ecosostenibili. Ma esserlo costa cure, attenzioni e soldi, che non tutte le industrie sono disposte a impiegare; ragion per cui spesso le imprese utilizzano più tempo e denaro a dipingersi come poco impattanti sull’ambiente, anziché adottare misure che effettivamente ridurrebbero il loro impatto ambientale.

Per i consumatori, spesso è difficile distinguere un marchio che si impegna realmente ad essere eco-friendly da un altro che semplicemente sfrutta il greenwashing.

Ma ci sono alcuni indizi che ci possono aiutare ad individuare i brand “colpevoli” di greenwashing.

Innanzitutto, le informazioni poco chiare circa la sostenibilità sono un segnale d’allarme: se il prodotto afferma di essere sostenibile, deve anche esserci scritto chiaramente perché. Secondo un recente studio della Commissione Europea, di 344 slogan che assicuravano l’ecosostenibilità dei loro prodotti, più della metà non davano informazioni sufficienti o verificabili. Spesso (nel 37% dei casi) si trattava di semplici parole come “consapevole”, “eco-friendly” o “sostenibile”, che nel 59% non venivano dimostrate in alcun modo.

Spesso ci sono loghi che indicano un prodotto etico, come il simbolo del coniglio per indicare il cruelty-free. Tuttavia, il logo viene replicato con disegni simili per ingannare il compratore, che per questo motivo deve assicurarsi che i simboli siano quelli ufficiali e non repliche fasulle.

Un caso simile è l’uso di colori o disegni che richiamano il verde e la natura: non è un caso che una delle più grandi compagnie petrolifere al mondo, BP, abbia scelto il colore verde come il colore principale del suo marchio, il cui logo assomiglia ad un fiore. Ovviamente, di sostenibile hanno ben poco, ma ingannare così i consumatori permette loro di aumentare i clienti.

Pur di apparire “green”, alcuni brand hanno voluto evidenziare il loro non utilizzo di sostanze tossiche, anche se l’informazione risulta inutile perché le sostanze nocive sono già bandite da tempo, e dunque non differenziano da un prodotto da un altro. Un esempio è l’etichetta «senza HCFC» che troviamo applicata su alcune bombolette spray, nonostante l’impiego di questo gas propulsore sia vietato ormai da molto tempo.

In conclusione, per acquistare in modo sostenibile, bisogna fare molta attenzione; e non lasciarsi ingannare da queste tecniche di marketing purtroppo esistenti in un mondo che tuttavia sta puntando finalmente ad una maggiore sostenibilità ambientale.

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