di Stella Domenicucci, I D
La scuola imprime un nozionismo prevalentemente legato al passato. Presenta architetti, filosofi e poeti che hanno fatto la storia, ma chi sta effettivamente contribuendo a costituire la storia di un domani?
Steve McCurry, uno tra i più grandi fotoreporter contemporanei, èsenza dubbio tra queste persone.
Di origine statunitense, nasce nel 1950 nei pressi di Philadelphia. Dopo anni di cronismo fotografico decide di intraprendere un percorso da freelance partendo per l’India, dove apprende come guardare ed aspettare la vita. «Se sai aspettare –afferma– le persone si dimenticano della tua macchina fotografica e la loro anima esce allo scoperto».
La prima dimostrazione del suo amore per la fotografia, nonché la svolta nella sua carriera, si presenta all’improvviso. Steve, camuffandosi con gli abiti tradizionali del posto, riesce a sfuggire ai ribelli che monitoravano il confine tra Pakistan ed Afghanistan.Immortala il conflitto con i russi e, cucendosi nei vestiti rotoli di negativi per passare i controlli di ritorno, diventa il primo fotoreporter in assoluto a rilasciare testimonianze fotografichedello scontro in occidente. Vince il Premio Robert Capa,assegnato annualmente al «miglior reportage fotografico, per il quale siano stati necessari eccezionali doti di coraggio e intraprendenza».
Di lì in poi la sua carriera è un susseguirsi di successi, imponendolo all’attenzione generale per il talento innato nel cristallizzare l’empatia umana. «Voglio trasmettere il senso viscerale della bellezza e della meraviglia che ho trovato di fronte a me, durante i miei viaggi, quando la sorpresa dell’essere estraneo si mescola alla gioia della familiarità», dice. Non è la carriera però a renderlo un artista unico nel suo genere.
Oltre alla dedizione per la fotografia, McCurry si dedica alla stesura di diverse opere letterarie. La più particolare è senza dubbio Le storie dietro le fotografie, all’interno della qualevengono raccontati i trascorsi di ogni foto, le verità celate dietro all’apparenza di uno scatto.
Nel libro racconta ad esempio di come una volta, nelle ferrovie indiane, abbia completamente riposto la sua vita nelle mani di un assistente che lo teneva per le gambe allo scopo di fotografare, sporgendosi dal finestrino di un treno, due camerieri che si passavano i piatti per la colazione dalla finestra. Racconta di come sia finito più volte in prigione in Pakistan, o di come sia stato picchiato per aver ripreso un rito religioso senza consenso.
Nel complesso, la voglia di avventura e di avere qualcosa d’interessante da fotografare riesce ad oltrepassare ogni timore. «La situazione era vera ma qualche volta devi prendere dei rischi», così afferma parlando del suo incontro con i Mujaheddin e di come abbia avuto fiducia nell’istinto che sarebbe andato tutto nel verso giusto.
Alla fine ,ascoltare la passione, senza reprimerla, porta a questo: ad essere disposti a tutto, pur di coronare il proprio sogno. «La mia vita è modellata dall’urgente bisogno di vagare e osservare, e la macchina fotografica è il mio passaporto».