di Marta Rigotti

Il 25 novembre ricorre la giornata commemorativa della violenza contro le donne. Una giornata ricca di testimonianze e dibattiti, colorata da disegni, scritte e simboli rossi, una giornata che urla al megafono contro l’indifferenza, rigata da gocce di dolore, risentimento, sostegno, coraggio. Una giornata che vorrebbe renderci più consapevoli per colmare un vuoto lasciato da noi stessi. Ma è possibile colmare in un solo giorno questo vuoto che si radica nel terreno per così tanto tempo? Siamo proprio sicuri che in questo modo aiutiamo chi ne ha bisogno? Che lo facciamo davvero per gli altri, e non solo per avere la nostra coscienza a posto? E soprattutto, c’è la possibilità che si finisca per ottenere un risultato opposto a quello desiderato? Le giornate della memoria sono importanti, ma non bastano. Quindi mi chiedo: come sensibilizzare noi ragazzi/e, donne e uomini del futuro, come comprendere a fondo il tema e le sue problematiche, come evitare l’indifferenza? Come fare perché nel XXI secolo tutto questo non accada più?

La soluzione, qualunque essa sia, non è facile, perché parliamo di intervenire su valori o disvalori radicati nelle vite sociali, culturali, ambientali. La prima riflessione che mi viene in mente è che i cambiamenti profondi hanno bisogno di tempo, di maturare attimo dopo attimo. Penso che richiedano lo sforzo di ricercare le “radici”: invece di pensare a come risolvere “un problema”, dovremmo prima comprenderne le origini. Un dato che mi ha profondamento interrogato è che molte donne subiscono violenze non da
uno sconosciuto, ma da uomini a cui sono o sono state legate da un rapporto di “amore”. Provo dunque a tornare alle radici: forse il problema sta nel concetto di amore. Cos’è per noi l’amore? Chi ci aiuta a “prepararci” all’amore? Non c’è tra le materie scolastiche né extrascolastiche. Come si fa ad essere pronti per affrontare qualcosa che non si conosce? Come possiamo discernere, orientarci…

Forse insieme alla giornata che ricorda le tante donne vittime di violenza, sarebbe importante scegliere dei momenti per educare all’amore, troppo spesso confuso con emozione, affetto, sessualità, desiderio, gioia momentanea e a volte ingannevole. Amare l’altro/a vuol dire innanzitutto rispettarlo/a, vuol dire ritrarsi per dare spazio alla sua libertà. Perché amore e possesso sono come due grandezze inversamente proporzionali. Inoltre è importante capire se quella persona apre la sua “bolla” per condividere il suo spazio, per ampliarlo insieme al tuo; oppure solo per inglobarti nel suo scopo di autoaffermazione.

Cosa vedo quando mi trovo di fronte all’altro/a? Vedo giusto? Vedo il vero, ciò che conta davvero? Come si fa a decidere? E se mi inganna? E se sbaglio? Inutile negare che la prima cosa che notiamo in una persona è l’aspetto esteriore. E’ il primissimo modo in cui ci entriamo in contatto: la guardiamo. Ma questo non dovrebbe voler dire, come molti pensano, che si guarda solo l’aspetto fisico o che si dà maggiore importanza ad esso. Noi prima di tutto vogliamo guardare perché l’esteriorità di una persona ci rivela in realtà la sua anima. Le radici dell’occhio stanno nel cuore. Il modo in cui guardiamo l’altro/a è la nostra presa di posizione più interiore. Ed è da qui che bisogna partire, anche tra i banchi di scuola, che raggiungono tutti/e, con nuove sfide, nuovi temi, nuovi orizzonti e nuove possibilità.

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