di Maria Elena Blanda, Alice Giallombardo, Lidia Pini Prato

Basta osservare il numero di giocattoli che possiede un bambino di oggi. È elevatissimo rispetto al numero di giochi posseduto da un suo coetaneo di cinquant’anni fa.

Gli adulti non sono molto diversi: il telefono cellulare viene sostituito non quando si rompe ma quando un modello nuovo promette prestazioni strabilianti e così il computer e l’infinito numero di gadget elettronici, taluni spesso inutili, che però ci affascinano irresistibilmente. Come anche l’auto, dopo un po’ che la si possiede, non soddisfa più il nostro desiderio di novità e, per questo, si corre a comprare il modello più recente.

Il nostro mondo quotidiano è saturo di oggetti, spesso superflui. Gli oggetti sono diventati talmente pervasivi nella nostra vita da sostituirsi progressivamente agli affetti e alle relazioni umane.

Il fenomeno in questione si chiama consumismo ed è una delle malattie della società e dell’uomo contemporaneo. Il consumismo è quindi un fenomeno tipico delle società industrializzate, nelle quali, grazie alla elevata produttività, è reso possibile l’acquisto di beni e servizi in quantità sempre maggiori.
Si compra più di quanto serva, si acquistano oggetti non tanto per la loro necessità o per il piacere di adoperarli, quanto per quello che rappresentano:
essi placano le insicurezze dell’uomo moderno.

Intanto il nostro livello di consumi erode le riserve naturali del pianeta e mette probabilmente a rischio la vita sulla Terra per le generazioni che succederanno alla nostra.

La pubblicità ci induce, tramite spot che trasmettono le immagini di esistenze perfette quanto irreali, a consumare sempre di più prodotti di cui non abbiamo alcun bisogno. Di più: essa non si limita solo a vendere prodotti, bensì propaganda sogni, modelli di vita, da perseguire e imitare, che risultano impossibili da seguire.

Il consumismo sta ormai corrompendo anche l’arte e la cultura, la stessa produzione di idee. La storia dell’arte contemporanea è sempre più un susseguirsi di nuove concezioni, l’ultima delle quali scaccia le precedenti. 
Le pagine culturali dei giornali sono quasi ogni mese dominate da nuove quanto futili polemiche. L’importante è produrre continuamente inconsistenti novità per il lettore e garantire la visibilità dei protagonisti.

Si tratta di comportamenti che non fanno altro che danneggiare la situazione. I giovani, purtroppo, sono i primi a cadere nel tranello e avvertire bisogni che le aziende hanno appositamente creato per loro. Dobbiamo essere molto attenti e non farci manovrare. Forse i consumatori, i giovani in particolare, hanno bisogno di essere educati al consumo, facendo capire tutti i danni che si avranno a lungo andare: forse fra qualche decennio useremmo auto elettriche e abiteremmo case robuste, durevoli e autosufficienti sotto il profilo energetico. E soprattutto salveremmo il pianeta dall’autodistruzione.

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