di Ginevra Augello
«Chiamerei, quella attuale, l’età dell’irriverenza. L’ammirazione, per non parlare della reverenza, è passata di moda. Siamo assuefatti all’invidia, alla denigrazione e a un livellamento verso il basso. I nostri idoli devono esibire una testa d’argilla. Quando aleggia dell’incenso, va in direzione di atleti, pop star, gli ossessi del denaro o i re del crimine. La celebrità, nel modo in cui satura la nostra esistenza mediatica, è il contrario della fama» Gerge STEINER, La lezione dei maestri, 2003
Già nel 1873, nel romanzo pre-verista Eva, Giovanni Verga metteva in luce come la “democratizzazione” dell’arte avesse trasformato la τέχνη in merce. Il concetto di art pour art era stato abbandonato in favore di un’arte capace di soddisfare i gusti delle masse, la moda, pena l’incapacità di vivere del proprio lavoro. In Eva questo stato di precarietà è rappresentato attraverso la figura di Enrico, coprotagonista della vicenda, che riesce a guadagnare una fama come pittore solo piegando il proprio estro creativo alla richiesta del mercato. Tuttavia, la modernità dell’opera di Verga non sta soltanto nel ritratto dell’artista immerso nella società moderna, ma anche nella capacità di cogliere la nascita degli idoli della cultura di massa: le celebrità.
Nel linguaggio parlato, il termine “idolo” ha progressivamente perduto la sua connotazione negativa, diventando un sinonimo di “persona ammirata”. Eppure, nella società moderna, questa “ammirazione” – come vedremo – conserva ancora quell’impronta di marcato fanatismo, che in passato aveva reso gli idoli oggetto di condanna. Si ricordi l’episodio del Vitello d’oro, narrato nell’Esodo, che esemplifica perfettamente la critica di una religione monoteista, peraltro priva di icone rappresentative della divinità, nei confronti delle religioni politeiste. Si tratta dell’accusa del culto dei falsi idoli, antica, eppure estremamente attuale.
Nel passo biblico, la fede nei confronti del Dio della tradizione ebraico-cristiana rappresenta l’unica via per la verità, la salvezza dall’inganno di una falsa divinità. Ma in una società in cui la religione è stata messa in crisi da quello che il critico George Steiner definisce “scetticismo scientifico” è davvero possibile prevenire il culto dei falsi idoli? La risposta a questo quesito è più complessa di un semplice “no” e deve necessariamente mettere in luce le radici di questo XXI secolo, più antiche delle rivoluzioni politiche e sociali tipiche del XX secolo.
Abbiamo osservato che lo stesso Giovanni Verga – nel XIX secolo – è stato testimone degli inizi di questo mutamento, come anche il poeta Charles Baudelaire. Quest’ultimo, in particolare, denunciava lo stato di crisi del ruolo del poeta, che per la prima volta nella storia aveva definitivamente perduto la sua rilevanza sociale. Si può dunque affermare che nel corso del XIX secolo, la mercificazione dell’arte, divenuta prodotto, volto a soddisfare un pubblico numericamente maggiore, ma il cui livello culturale era inferiore rispetto al passato, abbia portato ad una svalutazione dell’arte stessa. Questa non può essere fine a sé stessa, ma non può neppure “unire l’utile al dilettevole”: è semplicemente un bene di consumo.
D’altra parte, nello stesso periodo, Friedrich Nietzsche mette in luce un’altra crisi del suo secolo: quella religiosa. Nella Gaia scienza, il filosofo annuncia la morte di Dio, la caduta dell’assoluto, che fino a quel momento era stato la bussola morale della società e – allo stesso tempo – quello che Karl Marx chiamava «l’oppio dei popoli», capace di rendere le masse passive e soggiogate.
Al crollo di queste due “certezze” che costituivano le fondamenta della civiltà, arte e religione – che infatti Nietzsche, nella prima fase del suo pensiero, riteneva “enti sovrastorici” – si accompagna l’ascesa di un nuovo “pilastro”: la scienza dei positivisti e degli utilitaristi. Essa diviene l’unico possibile appiglio sicuro per l’umanità, un sinonimo di progresso e benessere. In questa nuova società scientista, l’esercizio del “sospetto” diventa essenziale, poiché il crollo delle certezze ha insegnato all’uomo comune l’importanza dello scetticismo.
Ecco da cosa nasce l’«età dell’irriverenza» di cui parla in un suo saggio Steiner. La perdita dell’assoluto porta la società a cercare un sostituto, un oggetto di venerazione che sia guida e sicurezza. Tuttavia, questo punto di riferimento non può essere costituito dal saggio, che non riesce a parlare alle masse, come l’artista inteso nel senso antico del termine. Non si può trovare un profeta tra gli intellettuali.
Così, l’idolo diventa qualcuno di simile all’uomo comune, che tuttavia ha avuto successo, un ideale a cui aspirare, la cui ammirazione è data dal senso di invidia che suscita. Sono il politico ed il calciatore, il cantante e lo streamer: sono gli influencers, la cui fama esplode in un millisecondo e con altrettanta rapidità è in grado di esaurirsi. Sono idoli temporanei, costantemente scrutinati dalla collettività, la cui carriera è messa a rischio da una parola sbagliata in un tweet, o da un commento postato su Reddit sette anni prima. La loro intera esistenza è analizzata accuratamente per trovare un difetto, anche minuscolo, che possa strappar loro quella fama passeggera e conferirla a chi riuscirà a smascherarli, un nuovo eroe dalla breve popolarità.
Questo aspetto Steiner lo mette perfettamente in luce nella sua riflessione, quando scrive: «L’ammirazione, per non parlare della riverenza, è passata di moda». In seguito, lo scrittore afferma anche che quella della società moderna è una reverenza alienata, dal carattere religioso e rituale.
Questa osservazione si ricollega perfettamente al parallelismo, proposto in precedenza, tra celebrità ed idoli. In particolare, gli anglosassoni hanno coniato un nuovo termine per riferirsi a questa forma di reverenza: “parasocial relationship”. Il termine in questione fa riferimento ad una relazione unilaterale in cui una persona dedica tempo ed attenzione ad un soggetto, della cui vita è pienamente partecipe, anche e soprattutto a livello emotivo. Tuttavia, il soggetto in questione è del tutto ignaro dell’esistenza di tale individuo. Si tratta di una malsana evoluzione del rapporto fan-celebrità, che tende a sfociare in comportamenti abusivi da parte dei fan stessi, ribattezzati “stan” dal rapper Eminem. Il termine stan è un portmanteau, ottenuto dalla fusione delle parole “stalker” e “fan”, volto a descrivere questi “ammiratori” dai comportamenti estremi, legati più al fanatismo che all’ammirazione. Gli stan non solo attribuiscono al loro idolo un ruolo paragonabile a quello di una divinità da venerare, ma credono anche di avere con questo un rapporto personale ed intimo: credono di conoscerlo come individuo. In tal senso, ritorna la grande modernità dell’Eva di Verga, in cui Enrico non si rende conto di essersi innamorato solo della Eva ballerina e non della donna stessa.
Ecco, dunque, cosa coglie Steiner nella sua riflessione: della reverenza, intesa come rispetto e genuina ammirazione, è rimasta solo una deformazione grottesca. Questa è l’anima del nostro secolo: l’età dell’irriverenza.