di Marta Perciaccante
Il 13 settembre 2022 Mahsa Amini, una studentessa di soli 22 anni, curda iraniana, mentre è in vacanza a Teheran per fare visita a dei parenti, viene arrestata dalla polizia religiosa (la Gast-e ersad) con l’accusa di non aver rispettato il rigido codice di abbigliamento femminile della Repubblica islamica, perché si intravedono delle ciocche di capelli che fuoriescono dal velo.
Poco dopo il suo arresto viene portata all’ospedale Kasra, e, dopo tre giorni di coma, Mahsa muore. Prima della sua morte, quando il fratello Kiaresh viene a sapere del suo ricovero e si reca in ospedale, trova la sorella in terapia intensiva, dove sarebbe finita per infarto, e le scatta delle foto, dalle quali possiamo vedere che sull’orecchio ci sono segni di violenza e anche le gambe, sempre da quanto ci riporta il fratello, sono piene di lividi.
Il 16 settembre la polizia annuncia la sua morte indicando la causa in un improvviso infarto, nonostante il padre avesse dichiarato che Mahsa fosse in ottima salute e la TAC dell’ospedale avesse rivelato un’emorragia celebrale e una frattura profonda sul lato destro del cranio.
La sua morte non ha fatto altro che rivelare ancora una volta la natura misogina del regime: infatti l’uso “improprio” del velo non è solo una violazione del costume, ma della legge, e anche se non tutte le donne sono obbligate, poiché molte seguono la tradizione volontariamente, il vero problema è la mancanza di scelta, che si aggiunge ai tanti motivi per cui la condizione delle donne iraniane, private di tantissime libertà per noi scontate, è allarmante.
Ma indagando il problema alle sue radici potremmo chiederci: è il Corano a prevedere l’uso del velo? A questa domanda risponde Renata Pepicelli, docente di Islamistica e storia dei Paesi islamici in Iran, la quale spiega che la questione ha a che fare con la linea sottilissima tra interpretazioni religiose, che variano anche in base alle diverse traduzioni del Corano; infatti, nella traduzione in italiano di Bausani, si fa riferimento a “parti belle” e a “copertura dei seni” e non c’è un richiamo specifico alla testa e ai capelli. Quindi non c’è una vera e propria risposta: ci sono diverse linee di pensiero e molte donne musulmane praticanti sono convinte che il velo non sia un’indicazione coranica.
Per tentare di capire almeno in parte cosa sta succedendo è importante conoscere alcune tappe della recente storia dell’Iran. Il regime ambiguo e ambivalente dello scià Mohammad Reza Pahlavi, che gestiva il suo regno in modo autocratico e nazionalista, imponendo alcune modernizzazioni e impedendone altre, aveva permesso alle donne di togliersi il velo senza concedere loro il voto, le aveva ammesse all’università di Teheran, senza abolire i privilegi maschili in fatto di diritto matrimoniale e familiare. Come reazione a tutto questo le forze di opposizione al monarca – di ispirazione religiosa, nazional-liberale e marxista – si riunirono intorno alla figura carismatica dell’Ayatollah Khomeini, confinato in esilio a Parigi per aver apertamente criticato lo scià fin dal 1963.
Prima scoppiarono una serie di rivolte, poi il 30 marzo 1979, ebbe luogo la grande rivoluzione, guidata dal clero sciita. Nacque così la Repubblica Islamica iraniana, dopo secoli di monarchia assoluta. Crearono una Costituzione fondata sulla Shari’a, la legge coranica: infatti una delle nuove leggi impose l’uso del velo per la donna e per controllare l’applicazione delle nuove norme, tra cui anche la proibizione delle bevande alcoliche, del gioco d’azzardo e della prostituzione, viene fondato un corpo armato speciale: i “pasdaran”.
Tornando ad oggi, dal giorno successivo alla morte di Mahsa Amini sono iniziate le tantissime proteste e manifestazioni, da nord a sud, da est a ovest, che stanno portando la Repubblica islamica di fronte a una delle crisi più gravi dalla sua nascita del 1979. Le manifestazioni stanno interessando oltre 130 città, con circa 154 morti e 1.500 arresti, dati che dimostrano la fortissima repressione delle forze di sicurezza.
A partecipare alle proteste ci sono anche molte ragazze delle scuole superiori, caratterizzate dalla divisione tra maschi e femmine, che si ribellano contro i loro stessi dirigenti scolastici.
L’analista geopolitico iraniano Nima Baheli afferma che queste manifestazioni sono differenti da quelle del passato: infatti nelle precedenti rivolte (2009, 2018, 2021) vi erano richieste specifiche e legate a problematiche che coinvolgevano solo alcune fasce della popolazione, mentre quelle a cui stiamo assistendo ora partono da istanze di maggiori libertà economiche e di costumi, e uniscono sia donne che uomini che più fasce economiche.
Da giorni circolano video delle proteste, durante le quali le manifestanti bruciano il proprio velo e si tagliano ciocche di capelli in luoghi pubblici. Insieme a Mahsa, è diventata simbolo di queste proteste per i diritti civili anche Nika Sharakami, ragazza di soli 17 anni della quale si erano perse le tracce dopo una manifestazione del 20 settembre; dopo 10 giorni il suo corpo è stato ritrovato privo di vita nell’ obitorio di un centro di detenzione a Teheran. Molte persone, tra cui i suoi familiari, si sono espressi sulla sua morte, e la madre, Nasrin, afferma che a lei appare chiaro che Nika sia stata uccisa dalle forze di sicurezza, che accusa anche di aver nascosto il corpo di sua figlia per più di una settimana. A provare questa versione ci sono sia alcuni messaggi che quel giorno Nika aveva scritto a una sua amica, spiegandole di essere stata inseguita dalle forze di sicurezza, sia la dichiarazione del medico legale che ha certificato la sua morte scrivendo di “diversi colpi sferrati con un oggetto contundente” sulla sua testa.
Oltre a Nika ricordiamo anche Hadith Najafi, una ragazza di soli 20 anni che era diventata un simbolo di queste proteste grazie a un video in cui lei si legava i capelli senza velo. Il 26 settembre è giunta la notizia della sua morte, nella città di Karaj, in seguito a 6 colpi di pistola.
I loro nomi e le loro storie, come quelle di tutte le donne che stanno trovando la forza di rivendicare i propri diritti e le proprie libertà, vanno ricordati ed è importante mostrare supporto e vicinanza, come stanno facendo già tantissime persone da ogni parte del mondo, perché tutto ciò non è lontano e il coraggio di queste donne è di esempio per tutte noi.