La destra stravince, la sinistra la aiuta
di Daniele Giannoni, II G
Le elezioni del 25 settembre hanno visto trionfare il centrodestra, o meglio la destra, o meglio Giorgia Meloni. Fratelli d’Italia, il partito più a destra della coalizione, ha infatti raggiunto il 26%, staccando di molto gli alleati di Forza Italia (8.1%) e della Lega per Salvini Premier (8.8%), la quale ha visto crollare i suoi consensi, che alle elezioni europee del 2019 avevano toccato il 34%. Parlare di vittoria del centrodestra è dunque difficile davanti ai risultati di Lega e Forza Italia; ma in una politica come quella di oggi, dove il partito è totalmente incentrato sul suo leader, è difficile parlare anche di vittoria di Fratelli d’Italia: il vero vincitore di queste elezioni è dunque Giorgia Meloni. La Meloni ha portato un partito del 4% ad essere primo partito d’Italia in soli quattro anni, ponendosi all’opposizione di tutti e tre i governi di questa legislatura, accusando e criticando, portando avanti una perenne campagna elettorale volta all’attacco: contro gli immigrati, contro la “lobby LGBT” e la “teoria gender”, contro le “devianze” (tra le quali inserisce l’obesità e l’anoressia), contro i “burocrati di Bruxelles” (l’Unione Europea) e la “grande finanza internazionale”. Si sa, stare all’opposizione è molto più facile rispetto a governare, ma non si può dire che Giorgia Meloni non abbia condotto una campagna elettorale astuta ed efficace, incentrata sulla sua figura convincente e carismatica. Certo è però che senza un aiuto da parte dei suoi avversari, il centrodestra non avrebbe mai conseguito una vittoria così schiacciante.
Contro una coalizione unita e compatta infatti non si è presentata una coalizione altrettanto coesa. Le differenze ideologiche e gli attriti personali hanno spaccato in tre l’opposizione alla destra, che si è divisa tra il centrosinistra a guida Partito Democratico con Enrico Letta (insieme ad Alleanza Verdi e Sinistra, +Europa e Impegno Civico), il Movimento 5 Stelle con Giuseppe Conte e Azione/Italia viva con Calenda e Renzi (il cosidetto Terzo polo). A causa della legge elettorale scritta da Ettore Rosato (ex PD), per ottenere il maggior numero possibile di seggi in Parlamento è necessario unirsi in coalizioni: per questo il centrodestra, nonostante abbia raccolto soltanto il 43% dei voti (meno della metà), ha ottenuto oltre il 60% dei seggi in Parlamento, un’ampia maggioranza. La divisione tra Movimento 5 Stelle e Partito Democratico, voluta da quest’ultimo in nome della fantomatica “agenda Draghi” dopo che Conte aveva contribuito alla caduta dello scorso governo, ha di fatto consegnato il Paese alla destra, nonostante essa non abbia ottenuto la maggioranza dei consensi: i voti di centrosinistra e 5stelle sommati raggiungono infatti il 41%, pressoché gli stessi voti del centrodestra, ma la legge elettorale ha causato la dispersione di gran parte di questi voti. Ad aggravare la situazione ha infine contribuito il distacco di Carlo Calenda dal PD, con cui aveva raggiunto un accordo, e la formazione del suo Terzo polo, che si è poi rivelato essere soltanto il sesto partito italiano.
Davanti a un discreto quanto inaspettato risultato del M5S (15%), comunque in enorme calo rispetto al 2018, il PD, il partito storico del centrosinistra, ha conseguito il 19%, un risultato al di sotto delle già basse aspettative.
Dato che, come abbiamo detto, la politica di oggi è incentrata sui leader, partiamo proprio da questo. Se Giorgia Meloni, Giuseppe Conte e Carlo Calenda hanno contribuito a raccogliere voti per i propri partiti, Enrico Letta ha fatto l’esatto contrario. Poco carismatico e incapace di attrarre la fiducia e l’attenzione della gente, Letta ha commesso una serie di errori, a partire dalla mancata alleanza col M5S, passando per alcune dichiarazioni pubbliche decisamente infelici, fino all’adozione di una linea politica discutibile. Ma di certo il vero problema del PD non è stato soltanto il leader. La sua campagna elettorale, invece che far leva sui reali bisogni delle persone portando avanti proposte concrete, si è basata sul pericolo per la democrazia delle destre al governo, cosa che, vera o non vera, non ha catturato l’attenzione degli elettori.
I democratici si sono inoltre posti come continuatori della cosiddetta “agenda Draghi”, presentandosi come partito garante della competenza e della serietà, come delle politiche di stampo liberista portate avanti dallo scorso governo. Ma questa linea, a prescindere da come la si pensi su Draghi, non sembra aver giovato a nessuno: tutti i partiti che hanno fatto parte del governo Draghi hanno perso consensi, mentre l’unica grande forza all’opposizione, Fratelli d’Italia, li ha guadagnati; il partito ritenuto fautore della caduta del governo, il M5S, è stato l’unico capace di riacquistare qualche voto in più, anche grazie alla difesa di misure a vantaggio dei più poveri come il Reddito di Cittadinanza; dei vari partiti continuatori dell’agenda Draghi, oltre al PD, il Terzo polo non è riuscito a sfondare mentre +Europa e Impegno Civico hanno conseguito pessimi risultati (rispettivamente 2.8% e 0.6%).
La verità è che il Partito Democratico si è totalmente allontanato dalla gente comune e in particolare da quella gente che un partito che si definisce di centrosinistra dovrebbe rappresentare: i lavoratori, i deboli, gli oppressi. Secondo un sondaggio dell’istituto Ixè, la base del PD è costituita in grandissima parte da chi si trova in buone condizioni economiche, mentre soltanto l’8% degli elettori si trovano in condizioni economiche inadeguate, ossia sono le persone a cui tipicamente si rivolge o si dovrebbe rivolgere un partito di sinistra. Questo dato deriva dal fatto che, nei circa dodici anni in cui il PD è stato al governo dalla sua fondazione nel 2007, sono stati presi provvedimenti che andavano contro i lavoratori e le fasce più povere e facevano gli interessi delle imprese e delle classi più agiate. Non c’è dunque da stupirsi se le classi popolari si affidano alle politiche populiste della destra, che, tramite promesse spesso demagogiche e la demonizzazione del nemico di turno contro cui scagliarsi, riesce a trasformare i disagi delle persone in voti, nonostante porti avanti proposte, come la flat tax, che vanno esclusivamente a vantaggio dei ricchi.
Ma il dato veramente preoccupante di queste elezioni è l’astensionismo: il 25 settembre è andato a votare soltanto il 64% degli aventi diritto, un record in negativo, che batte il 74% del 2018, in un paese dove si era abituati ad un’affluenza del 90%. Questo vuol dire che il prossimo governo di centrodestra, che ha ottenuto il 43% dei voti del 64% che si è recato alle urne, sarà stato deciso soltanto dal 27% degli italiani, non proprio un governo eletto dal popolo. Questo dato è lo specchio di una società totalmente sfiduciata nei confronti della politica partitica, lontanissima dall’ideale di democrazia partecipativa, che ritiene che il suo voto sia ininfluente, perché “tanto sono tutti uguali”.