di Lavinia Andreozzi, I D

Torna a far discutere il caso di Emanuela Orlandi: se ne parla in televisione, vi sono manifesti in tutta la città, va in onda docu-film su Netflix, diretto  da Mark Lewis, in cui il fratello di Emanuela e varie figure implicate nell’indagine chiariscono alcuni aspetti del caso, ascoltano registrazioni e telefonate degli anni passati, e c’è anche un libro, di recente pubblicazione, di Maria Giovanna Maglie, Addio Emanuela (Piemme, 2022), che ne parla dettagliatamente. Tanta attenzione si spiega perché nel pomeriggio del 9 gennaio 2022 Alessandro Diddi, il Promotore di giustizia vaticano e la Gendarmeria hanno riaperto il caso di questa ragazza che quarant’anni fa ha sconvolto l’Italia.

Emanuela era una ragazza proprio come noi, di quindici anni, residente nella città del Vaticano: è proprio qui che Emanuela è stata vista per l’ultima volta. Infatti il 22 giugno del 1983, Emanuela esce  10 minuti prima dalla sua lezione di musica per incontrare l’ uomo che le aveva offerto un lavoro di volantinaggio per un’azienda di cosmetici prima dell’inizio della lezione, nonostante la sorella l’avesse messa in guardia; le sue compagne prendono il primo bus che passa senza aspettare la loro amica che, come gli annunciò,  avrebbe preso quello successivo. La ragazza quella notte non fece ritorno a casa. Cominciarono le ricerche da parte del fratello Pietro e del padre, che vanno  successivamente a denunciarne la scomparsa presso le forze dell’ordine.

Il 25 giugno a casa Orlandi vengono ricevute due chiamate da parte di due ragazzi, Pierluigi e Mario, che sostengono di aver incontrato una ragazza che vendeva cosmetici ed aveva con sé un flauto; la descrizione corrisponde a quella di Emanuela.  Tuttavia i ragazzi sostengono che il nome della ragazza fosse Barbara. I due però rifiutano di incontrare il fratello di Emanuela, Pietro: sembrava quasi che fossero stati incaricati di fare quella telefonata.  Successivamente la sala stampa del Vaticano riceve una telefonata da un uomo, l’americano, che sosteneva di avere la ragazza e che l’avrebbe liberata solo dopo il rilascio di Ali Agca, terrorista turco. Col tempo però le chiamate da parte di organizzazioni criminali che rivendicano il rapimento si moltiplicano, così nel 1997 il caso viene archiviato.

Nel 2005, a seguito di una telefonata in diretta al programma tv Chi l’ha visto?, viene attribuita la colpa della morte di Emanuela a Enrico de Pedis, boss della banda della Magliana: la ‘ndrangheta avrebbe affidato a lui Emanuela a causa dei suoi 130 miliardi di lire persi in seguito ad un crack finanziario dal Vaticano. Questa ipotesi era  sostenuta dalla conferma dei rapporti tra la banda della Magliana e il Vatacano ( sempre al centro delle varie piste, ma non è stata  tuttavia  mai confermata, poiché nella tomba di de Pedis non sono state trovate tracce di dna della ragazza. Nel 2012 viene nuovamente archiviato il caso. Nel 2014 però  viene scassinata una cassaforte del Vaticano in cui venne ritrovato parte di un fascicolo contenente spese di allontanamento di Emanuela e quelle di un rimpatrio, talmente costoso che fa pensare al rimpatrio di una salma; questi documenti vennero poi dichiarati falsi a causa di un errore. Del caso non si sa più nulla fino al 2018, quando l’avvocato degli Orlandi riceve una lettera anonima che diceva di cercare il corpo di Emanuela «dove guarda l’angelo»: vengono così aperte due tombe nel Cimitero Teutonico in cui vennero rinvenuti 26 sacchi di ossa, mai fatti analizzare. 

L’obiettivo delle nuove indagini sarebbe quello di interrogare nuovamente i testimoni e riaprire piste mai approfondite a sufficienza con la speranza che facciano luce su ciò che è accaduto ad Emanuela, sul ruolo del Vaticano in questo rapimento e soprattutto che diano  una risposta ad una domanda che ormai tutti ci stiamo ponendo: Emanuela Orlandi è ancora lì fuori da qualche parte?

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