di Marta Rigotti

La stesura di questo monologo nasce dalla proposta di lavoro di tracciare una carrellata di storie di
alcune tra le tante personalità che, dal medioevo ai nostri giorni, si sono distinte, che sono andate
contro corrente, che hanno saputo resistere e ribellarsi alla mentalità dominante, che per certi versi
hanno precorso i tempi, che hanno avuto la forza, l’intelligenza, il coraggio di portare avanti le
proprie idee, e che anzi proprio per questo sono state ghettizzate, perseguitate, addirittura uccise. Il
tema ha stuzzicato la mia curiosità e, andando un po’ indietro nella storia, mi sono soffermata sulla
spesso trascurata tragedia della “caccia alle streghe”. Riporto di seguito la storia vera di Madeleine
Bavent, tratta da suoi scritti, e da me parzialmente rielaborata per amore di sintesi.

La mia è una triste storia di abusi e ingiustizia, con la quale voglio dar voce a tutte le donne
imprigionate o finite sul rogo con l’accusa di stregoneria. Il mio racconto è tanto più importante
perché è una delle poche testimonianze dirette di una vittima della caccia alle streghe.
Mi presento… sono Madeleine Bavent.
“Nel presente anno 1647, nel quale faccio questa breve narrazione della mia vita criminosa, credo
di avere circa quarant’anni, benché non conosca esattamente l’anno della mia nascita. Padre e
madre mi sono stati l’avvocato Guillaume Bavent e Jeanne Planterose di questa città di Rouen. Dio
me li tolse in tenera età: avevo solo nove anni, mi sembra, quando li chiamò via da questo mondo”.
Sono cresciuta da uno zio, a sedici anni, mossa da una autentica vocazione,  esprimo la volontà di
entrare in convento. Faccio il noviziato a Louviers. Ma la mia vita nel convento è molto diversa da
come l’avevo immaginata. Direttore di Coscienza e confessore è Pierre David che ha delle idee
molto personali sul modo in cui le novizie debbano prepararsi per ricevere i voti. Diceva che
bisognava uccidere il peccato per mezzo del peccato, ci obbligava a girare nude per il chiostro, a
ricevere la comunione a seno scoperto e spesso e volentieri si appartava con noi. Così, dopo venti
mesi di quel calvario, rinuncio al noviziato e alla possibilità di indossare il velo, e tuttavia accetto di
restare come conversa . Ruolo che, se da un lato mi libera dall’obbligo di seguire i precetti nudisti di
David, dall’altro mi costringe comunque a frequentare lui e le altre suore.  Nel 1628, David muore e
gli succede Mathurin Picard, nel quale spero di trovare quella guida che tanto mi era mancata, ma
durante la sua prima confessione scopro di essermi illusa.
“Mi disse che tutto quello che confessavo non offendeva Dio, mi manifestò un amore appassionato,
mi pregò di amarlo come lui mi amava e cominciò a volermi accarezzare e persino toccare
impudicamente”.
Come il suo predecessore, Picard mi considera una sua proprietà. E sebbene nessuna, in convento,
ignori l’ossessione del padre spirituale per me, nessuna interviene finché, qualche mese dopo il suo
insediamento, approfittando di una mia presunta malattia, Picard mi violenta. Dopo la violenza,
spaventato dalla possibilità che io possa essere rimasta incinta, paga il Convento perché mi

riammetta come novizia e, quattro anni dopo, come Professa.  È l’inizio, per me, di una serie di
abusi psicologici, oltre che fisici, che culmineranno con il mio arresto e condanna.
Picard continua ad abusare di me. Usa la suggestione per tenermi legata a sé. Mi fa firmare
testamenti, mi costringe a giurargli eterna fedeltà, mi minaccia paventandomi la dannazione eterna..
Sparge in giro la voce che io sia instabile e profondamente disturbata. Mi scredita agli occhi degli
altri. Mi accusa di essere entrata in convento già traviata.
E così arriva davvero per me il crollo psicologico. Comincio a sperimentare la presenza di diavoli
attorno a me, non sto bene. E’ troppo quello che ho subito, sono fragile e spaventata, sola. E’ vero
ho confessato di Sabba, di forze che mi impediscono di prendere la comunione, o di confessarmi, di
demoni con forme strane, ma le mie confessioni mi sono state estorte, in vari modi.

Forse Picard, con la complicità della Superiora, si serve di droghe per accentuare il mio profondo
stato di sudditanza psicologica. Se provo a chiedere aiuto, o a ribellarmi, vengo isolata: nessuno mi
crede, neppure il vescovo, sono disperata. Quando Picar viene rimosso dalla carica di confessore,
provo un sollievo, ma un sollievo di breve durata. Picard muore nel settembre del 1642 e, per una
crudele ironia, la sua morte segna la mia condanna definitiva. Una suora entrata da poco in
convento, Suor Anne Barré, che ha fama di posseduta, a partire dal dicembre del 1642 si scaglia
contro di me, sono scomoda, parlo troppo e mi accusa di essere una strega e di aver complottato
con Picard per la rovina delle religiose. Le sue manifestazioni di possessione sono talmente
convincenti e contagiose che, in breve, gran parte del convento si scopre vittima delle mie presunte
arti di strega.
A questo punto, il vescovo si sente in dovere di intervenire e, dopo alcuni colloqui con suor Anna,
mi priva del velo e mi condanna al carcere a vita.
“Questo virtuoso Prelato che da quattordici o quindici mesi aveva acconsentito a essere il mio
Confessore, … emise sentenza contro di me, condannandomi a restare prigioniera per tutta la vita e
a digiunare tre giorni a settimana con pane e acqua, sulle semplici deposizioni di una suora che
parlava ora da santa ora da indemoniata.”
Il processo è una farsa…. ed io vengo sottoposta dalla Badessa e da una cerchia selezionata di
consorelle a un’umiliante e dolorosa ispezione corporale volta alla ricerca del marchio diabolico. 
Incarcerata e costretta a dormire su un umido pagliericcio in un’oscurità permanente, inizia per me
un nuovo inferno, fatto di nuovi abusi.  Non sono più i diavoli a farmi visita, ma i carcerieri che non
mi rendono la vita più semplice. Mi lasciano per giorni senza cibo né acqua, mi negano di potermi
curare, mi violentano. Tutto gli è concesso, perché sono una strega.
Il confessore mi assilla perché riveli i nomi dei miei complici, dichiari il falso e attesti le rivelazioni
delle consorelle indemoniate. L’unica cosa che conta per la Chiesa in quel momento è la
confessione delle streghe, il pentimento, perché la Santa Inquisizione deve salvare tutti. E’ una
pressione fisica e psicologica insostenibile, alterno così momenti di estrema lucidità, ad altri in cui
mi ritrovo a firmare qualunque cosa mi passi sottomano.. a confessare tutto, pur di porre fine a
quell’inferno.

Sfinita e sopraffatta, annichilita da un profondo senso di colpa, tento più volte il suicidio. Uso un
coltello trovato a tentoni nella segreta, ingerisco vetro, ragni, veleno. Non muoio. e il mio tormento
continua: divento oggetto di scherno per il popolo. Tra chi urla di bruciarmi viva e a fuoco lento e
chi allunga il collo per vedere qualche diavolo. 
Nell’agosto del 1647, al termine del processo, anche Boullé, vicario di Picard, viene riconosciuto
colpevole di stregoneria e arso vivo nella piazza del mercato vecchio. Con lui, viene gettato tra le
fiamme il cadavere di Picard. 
Il convento viene chiuso, le indemoniate riconsegnate ai familiari o disperse: di me non si saprà più
nulla. Scompaio ma non scompare la mia storia. 
La leggenda che mi vuole pazza e in balia dei suoi demoni deve fare i conti con questo mio scritto:
“Se dopo tutto questo gli uomini mi condannano come Strega e Maga che si è presa piacere con i
Diavoli e i ministri della religione infame, a me sembra che siano un po’ ingiusti”. [op. cit. p. 70]
Io ce l’ho fatta, sono sopravvissuta, a differenza delle altre 50.000 donne bruciate vive e
accusate di stregoneria, e ho potuto raccontare questa storia. Sono una donna, come tante del
tempo della caccia alle streghe, accusata perché mi sono ribellata, perché ho mostrato una
lucidità e una forza imbarazzanti, soprattutto per coloro che credevano, imprigionandomi, di
potermi destinare in eterno all’oblio.

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