di Marco Occhiuto, I C
Sediamo tranquilli sulla riviera,
al ritmo d’innumeri onde, sediamo!
Una volta non lontanissima era
un’intesa trinata di sogni, e l’amo
di canne illibate davamo ai mari.
Adesso, quel giorno, tanto sognato!,
è qui, e scade di già a pigolii rari:
accese stelle in atto di commiato!
«Non vedi, tu Marco, che finisce?»
rassegnata tu ai venti mi dici,
in odore che ci scorda, ci unisce …
«Non vedi tu il sole che languisce?»
Ah, amica di sogni idealizzati!
Nere si fan per te le tamerici …
Io il nero di rami già invecchiati
fingo di non vedere, e tu dici
parole lasciate preda dei venti.
«Ancora è l’inizio, amica: tu pensi
la fine?» Ah, quante innumeri genti
solcarono la terra su cui pensi!
A noi ancora irride un giorno, un presente
incerto di domani, e di futuri!
Quel che fu, amica, non è più niente!
E di tempo infiniti spessi muri
ci serrano in eterni attimi volanti.
«Questa gioia andrà insieme con quelle»
mi dici, volta a stormi lontananti.
Un’ellenica ape trova prese le celle
e, nel marino ululare, la fissi,
e pensi la casa remota contadina.
Il silenzio d’Olimpia gli abissi
dei secoli umidi di nuova brina
rievoca in sussulti. E gloria che fu
racchiudono incisioni antiche vane:
quell’eroico nome non esiste più!
«Le gioie già sembrano lontane!»
Reclinati fiori in loro corolle
assorbono giovanissimi profumi.
Mi parli: «Non è certo un volo folle
quello delle nostre vite!» tu fumi,
e vortici d’aria volteggian neri …
«Sì una luce sciapa, e non goduta!
le sue emozioni e i sentimenti veri
godrai solo nell’ora triste e muta
del congedo!» Passa un cane solo,
larvato di pulci, di zecche: solo.
E dormono frasche sfiorite, dormono!
«Non è la nostra vita un folle volo!»
E le onde si tacciono spente: dormono.
Ricordo: il sole alzarsi, tiepidamente:
e stendersi lungo il giorno, lentamente.
Indorarsi piano colline che dormono.
… Ora il sole va via
luci, azzurri, lontani …
una voce più pia e
piena di nostalgia
dice da posti vani
e la sera che cala
e il cadere del fiore
la contadina pala
il braccio di dolore
lascia del contadino
nel sonno d’un bambino. …
«Non vedi, amico mio, amico Marco,
non vedi tu il sole che languisce?»
Il nostro viaggio, d’ora, dallo sbarco,
brano a brano si dissolve: sparisce.
Pur’io, confesso, vedo Patrasso,
risento della nave la sirena,
rivedo nella tua iride Nasso,
terra d’amori naufragati piena;
Itaca ripida e Zante e Corfù;
vedo gente, e la tua iride attenta
ad immaginare un tempo che fu;
risento la mia voce che tenta
di svelarti un amore non mai detto
«Lo sanno tutti, e non lo sai tu?».
Sotto l’azzurro di stoviglia, tetto
che ci copre, m’ami tu un po’ di più?
Apollo colse Dafne in queste valli …
e vorrei darmi alle gioie di Dionìso,
per non sentirmi estraneo ai balli,
ai giochi, e scordare il tuo sorriso!
Amica, tanto lunga fu l’attesa!
Tra i mutili resti di statue nude,
in sole opaco, in una frasca tesa
è l’attesa la realtà che ci delude.
Ah, se fosse eterno il pigolio
che brilla nel terso cielo straniero;
se potessi non essere più io!
se tu vedessi il mio amore vero
senza che vane parole dicano
ciò che non ha udito, e tatto, e voce!
Una formica spunta dalla bica,
guarda intorno e si reclina veloce.
«Che sarà di quel viaggio che faremo?
pieno di gioia, di vita, d’allegria!
vedremo i luoghi (sfortuna non temo!)
vedremo Atene, e Delfi, e la pia
patria, maestra di terre innumerate!
Mi darai mille baci, io altri mille!»
Ora quei cieli, quei luoghi di fate
sono realtà, e immillano le mille
gocciole di mille dolori … il tempo
intanto va; ed era meglio il sogno
che la realtà … per un minuto un nembo
ci copre le stelle: sento il bisogno
di piangere, amica, su questa riviera.
«Che aspetti, prova!», m’inviti, mi dici …
ma avrei preferito l’attesa che era:
nere si fan per me le tamerici.
Rispondi: «Non c’è altro quando che adesso!»
Quale ansia infinita questa vita!
quanto nutrita di rimpianto intesso
la mia rima umile, parca, avita …
Patrasso, la sirena della nave
rivedo la gente occupata, quanto …
Già tre giorni passati dalla nave?
Questo tempo va preso con un guanto …
«Tu sei giovane: pensa a divertirti!»
dici rivolta a primule sfiorite.
Poi guardi il monte, ed i sentieri irti, e
luci su acqua riflesse, divertite.
Ma il vino giovane dell’allegria
Quanto inebriante e profumato –
È annacquato in acqua di malinconia.
Vedo Patrasso e il porto già toccato.
«Finirà tutto, prima o poi, caro mio!»
Tu, so, partirai, non mi ricorderai
se non come un amico … non più io
vorrei essere chi tu allora penserai.
Ma, vedi, non c’è più tempo, non c’è
uno spirito che ci unisca: è voce
soltanto d’un mare indifferente. E
tutto questo è solo la mia croce.
M’ami o non m’ami, m’ami o non m’ami?
Parleranno sfogliate margherite?
O parlerà l’oracolo di Delfi? M’ami?
S’intrecciano poco le nostre vite.
Ma il fruscio dei nostri giovani rami
che per il vento appena si sfiorano
è il mio sollievo dai giorni grami,
vicine sento radici che indorano
il terreno! «Non vedi, tu, tu il sole
che grado a grado rapido s’abissa?»
Con lui si spengono chimere e fole,
e volta alla costellazione fissa
la pupilla le stelle incandescenti.
«In questa piccola vigilia che resta
non attendere i giorni allora spenti…
ma vivi la breve luminosa festa!»
A parlare è sempre la mia amica:
è una pietra bella sulla riviera
che mi tiene compagnia: è un’amica.
Io solitario in questa bella sera
Come quella cetonia capovolta
che languiva in quel verde giardino:
io sotto questa costellata volta
ora rimpiango quando fui bambino.
Il mare ulula zitto indifferente
s’accende il canto di greci ubriachi
… per la via; pupille accese e spente
son le mie sulla riva di Loutraki.
Ci vedo Gozzano, Catullo, Leopardi… adoro tutto!! Sei bravissimo