di Martina Mauri, III E
La malattia mentale non rappresenta una condizione d’urgenza. Secondo i canoni della società, non richiede cure immediate quanto una gamba rotta e non è grave quanto un arresto cardiaco. Figuriamoci pensare che possa essere in grado di ucciderti!
Se soffri di un disturbo psichiatrico devi nasconderti. Devi camminare nella tua ombra, sperando che nessuno noti questo aspetto di te. Provi vergogna nel comunicare che ti trovi in cura o che hai intenzione di cercare aiuto, leggi scetticismo negli occhi di coloro a cui tenti di spiegare la tua condizione.
Sinéad O’Connor, in un video da lei stessa pubblicato su Facebook, ha offerto una similitudine incredibilmente concreta: la malattia mentale è come una droga. Inizi a crogiolarti in essa se non viene trattata, si trasforma nel tuo unico conforto e tendi ad isolarti dal resto del mondo; nessuno è in grado di comprenderti o aiutarti, quindi che senso avrebbe esternare ciò che senti? Infine inizi a convincerti che non stai poi così male in questo micro universo di dolore, sprofondi nel tuo stesso oblio.
Le malattia psichiatriche rappresentano uno stigma perché non sono normalizzate. Nelle scuole è impensabile fare informazione riguardo un simile argomento dal momento che presidi e professori, nella maggior parte dei casi, desiderano censurare una tematica così scomoda; nelle nostre case se ne parla raramente perché i nostri genitori, zii e nonni, che appartengono ad una generazione passata, ne sanno meno di noi. Forse ci si imbatte solo in qualche timida menzione di un parente più o meno vicino che anni fa ha creato scalpore in famiglia a causa di un problema mentale, ma la cosa termina lì. D’altronde è solo un pazzo.
Ciò che proviamo internamente, ciò che nasce nel nostro inconscio, riflette, senza filtri, cosa abbiamo sperimentato: l’ambiente in cui siamo cresciuti, il modo in cui le persone si sono relazionate con noi e come noi ci siamo relazionati con il mondo. Le cause dei disturbi mentali scaturiscono comunemente da fattori ambientali, oltre che genetici e strutturali: è dunque fondamentale che siano contestualizzati.
Negli ultimi anni le malattie mentali brulicano tra adolescenti e adulti a causa dell’instabilità sociale, politica e sanitaria provocata dalla pandemia e dalla guerra. Secondo il Mental Health Index del 2023, condotto da Angelini Pharma, i disturbi mentali sono tra le malattie che contribuiscono maggiormente ad aumentare il tasso di malattie croniche in Europa, rappresentando il 15% dei fattori di disabilità. Sono 16.9 milioni i cittadini europei malati psichiatricamente. Al primo posto troviamo il disturbo depressivo, seguito dai disturbi di ansia, dal disturbo bipolare e dalla schizofrenia; preoccupanti sono poi i dati riguardo l’aumento dei disturbi alimentari, i quali colpiscono 20 milioni di europei e si collocano tra i più mortali. Troviamo poi – in percentuali minori ma comunque significative– autismo, ADHD e disturbi intellettuali.
Di fronte a tali informazioni e ad un tasso di mortalità pari al 3,7%, il numero di servizi sanitari per la cura delle malattie mentali non è neanche lontanamente soddisfacente: la disponibilità di strutture specializzate per il trattamento e ricovero psichiatrico, ma anche i servizi ospedalieri e della comunità sono estremamente scarsi ed esageratamente costosi: nei servizi di sanità pubblica europea sono presenti soltanto 0.5 unità di salute mentale per 100.000 abitanti.
Altri argomenti che lo studio concerne riguardano la prevalenza di tali patologie tra la popolazione femminile e il problema della stigmatizzazione: rendere la malattia psichiatrica un tabù aumenta infatti il fattore di rischio, scoraggiando la ricerca di aiuto professionale da parte di chi ne è affetto.
Per quanto riguarda la prima questione, la causa è attribuita ad una maggiore tendenza a riscontrare disagio psichiatrico, provocata da gravidanza, periodo post partum, aborti spontanei, abuso e violenza domestica.
D’altra parte lo stigma viene considerato dagli studiosi pari ad una concreta piaga sociale che ha riscontri estremamente negativi in ambito lavorativo, scolastico e privato, ostacolando la possibilità di condurre una vita serena e l’integrazione sociale dei pazienti psichiatrici. Il rispetto dei diritti di quest’ultimi è in condizione precaria.
La cantante irlandese, deceduta lo scorso luglio, afferma che quando sei malato sei solo.
Essendomi trovata, nel corso della mia vita, vicina persone care che hanno sofferto e che ancora lottano con malattie mentali, ed essendo in prima persona coinvolta, non posso negare che spesso sia straziante stare accanto a qualcuno che soffre. Da una parte vorresti fare qualcosa di concreto per aiutare, dall’altra desideri solo allontanarti perché ti senti impotente e perché senti che hai bisogno di salvaguardare te stesso. Il fulcro della questione riguarda proprio il fatto che chi ha un disturbo psichiatrico non dovrebbe essere affidato esclusivamente al sostegno di amici e familiari, tantomeno essere abbandonato a sé stesso. Dovrebbe invece avere la possibilità di essere curato professionalmente e ricevere tutte le indicazioni e i trattamenti necessari per prendersi cura di sé, inserendosi in maniera adeguata nello schema della società e nell’equilibrio degli affetti; quelle psichiatriche sono malattie a tutti gli effetti ed è necessario trattarle come tali.
Vorrei vedere, un giorno, una maggiore consapevolezza diffusa nel paese in cui vivo, un ambiente in cui non devo più avere paura di parlare di ciò che mi fa stare male e del perché, a volte, una situazione quotidiana può rappresentare per me un’impresa ardua; non dover più leggere con frequenza assidua di giovani, adulti e anziani che si suicidano perché sembra essere la via più semplice e confortevole. Soprattutto, mi provoca rabbia il fatto che tali episodi siano visti come un qualcosa di normale. Non è normale che un malato di cancro muoia perché non ci sono trattamenti accessibili, non è normale che un neonato non venga curato per la polmonite. Perché deve essere normale per chi soffre di una malattia psichiatrica togliersi la vita o morire indirettamente a causa di essa, solo perchè non riesce a trovare il proprio posto nel mondo? «To say what you feel is to dig your own grave», come traspare dall’affermazione di O’Connor. Purtroppo oggi la strada per garantire inclusività ed efficenza per la cura delle malattie mentali e per abbattere lo stigma appare ancora tortuosa.
Il cambiamento deve partire da ognuno di noi: è fondamentale confrontarsi e parlare di ciò che ci spaventa, senza temere il giudizio altrui; giudizio che senza dubbio sarà costante, straziante, ma che, con il tempo, sembrerà essere più leggero, quasi insignificante. Non è semplice trovare il coraggio di esprimere chi sei e di accettare l’aiuto che ti deve essere garantito per diritto, eppure essere in grado di manifestare fragilità e di ammettere la propria imperfezione deve essere motivo di orgoglio nel microcosmo della nostra esistenza temporanea.