di Luca Gentilucci, II D
Erano colpiti dal sole in quella foto, quella che hanno mandato in onda su qualsiasi programma. Si abbracciavano: quello che fanno due anime quando hanno bisogno di contatto. Tremava la voce, nelle note vocali condivise, a tragedia ormai avvenuta. Fuoriusciva sangue da quelle ferite che non si possono definire tali se c’è di mezzo la paura. Alle esequie della figlia, Gino Cecchettin, padre di Giulia, ha pronunciato un discorso che non riguarda esclusivamente la figlia, bensì un fenomeno, una piaga della società, un problema della società. È immensamente lodevole da parte sua sfruttare l’ultimo saluto alla figlia per mandare un messaggio. Significa aver compreso che la morte di Giulia va al di là del singolo caso. Avrebbe potuto dedicarsi solamente al ricordo di Giulia, rammentando episodi di felicità, cercando di dimenticarsi quantomeno temporaneamente dell’illimitato dolore. Non ne aveva la responsabilità, perché a chi vive una situazione del genere non gliela si può attribuire. Ma Gino Cecchettin è una persona consapevole e la responsabilità, anzi le responsabilità se le sente tutte quante. L’educazione è la materia del suo discorso; le famiglie, la scuola, le reti di comunicazione sono gli agenti. Gino comprende che non esiste singolarità, non esistono leggi, aggravanti, non esistono pazzi che hanno avuto un raptus. Esiste una malattia che ci ha contagiati tutti e l’unica via per sconfiggere questo morbo è l’educazione dei nostri figli. Suggerisce Gino: l’educazione al rispetto, al relazionarsi in maniera sana, alla capacità di gestire i conflitti, all’eliminazione della violenza. Vero è il fatto che sia difficile immaginare una trasmissione corretta dei valori sopra citati, se l’educatore è il primo a cui non appartengono. Qui entra in gioco la chiave, il vaccino, ciò che nel relativo breve tempo è necessario per ampliare la percezione collettiva: la consapevolezza. La consapevolezza di Gino Cecchettin, quella di tutti i genitori ai quali il solo pensiero ha accarezzato la mente, quella dei pochi giovani, in contrasto con l’assente consapevolezza dei loro coetanei. Ma è proprio qua che l’uomo deve agire, nell’appartenere alla categoria che ha ruolo cruciale per – come dice Gino Cecchettin –rompere il cielo e creare una nuova cultura: dove non perde assolutamente nulla di ciò che gli spetta. La famiglia è il primo tassello su cui intervenire in caso di mancanza. Il supporto di uno psicologo di base, con visite obbligatorie a cadenza annuale, mensile, settimanale potrebbe essere un passo avanti per la responsabilizzazione di cui parlavo prima. Le scuole sono i luoghi dove c’è la massima concentrazione di giovani, sia coloro che devono cambiare in corsa sia coloro che già alla nascita dovranno rappresentare il cambiamento. Per definizione le scuole sono portatrici di cultura e se quello a cui miriamo è proprio una rivoluzione culturale anche loro giocano una partita importante. Infine i media, quelli da cui oggi sappiamo che Giulia è stata assassinata, che le donne uccise in Italia sono praticamente una ogni tre giorni, che ci riempiono di notizie senza sosta. Trovo positivo che sia stata posta attenzione su un tema che incredibilmente era ignoto a molti. Anche se con una nota di amarezza ho appreso la notizia dei numerosi incredibili sospiri alla scoperta dello spaventoso numero di vittime donne di quest’anno, mi consolavo in parte pensando che almeno se ne parlasse.
Non riesco però ancora ad intravedere una funzione educativa nei media. Probabilmente per il miscuglio delle infinite informazioni che ci trasmettono senza un’adeguata canalizzazione e regolamentazione. La nota più triste di tutta questa storia però è il “più uno” sul contatore delle donne uccise quest’anno. A distanza di neanche qualche giorno dal gigantesco caso mediatico di Giulia Cecchettin un’altra donna è stata uccisa, strangolata, come tutte quante.
Manca l’aria.