di Virginia Puma, II D

Ti lascio andare, amore mio

Ogni giorno pregavo Apollo per aver donato ad Orfeo quella lira, perché una vita senza il dolce suono della sua musica non è degna di essere vissuta e chiunque avesse la fortuna di ascoltarlo non poteva che rimanerne ammaliato.

Mai comprenderò come Aristeo potesse essere una creatura tanto infima e disgustosa nonostante fosse progenie dello stesso dio che concesse tutto quel talento al mio amato.

Aristeo non possedeva la dolcezza, l’accortezza e la delicatezza di Orfeo e il fiato per scappare da lui non bastava mai.

E io correvo, correvo ma sentivo sempre dietro di me l’ombra del mostro che voleva strapparmi dall’unica persona con cui avrei voluto spendere i miei giorni.

Avrei preferito la sordità al non poter stare con Orfeo.

Fu proprio durante la mia corsa disperata che inciampai su una serpe e il suo morso mi fu fatale.

Il veleno raggiunse il cuore e finalmente potevo riposare, potevo smettere di avere paura.

Esalando il mio ultimo respiro, pregai Ade e gli chiesi di permettere al mio compagno di raggiungere i Campi Elisi, quando le Moire avrebbero tagliato il filo: non desideravo altro.

L’ Oltretomba mi fece sprofondare nella solitudine, fissavo i fiori su cui ero sdraiata e non facevo altro che pensare a quanto il loro profumo sarebbe stato più dolce e i colori più brillanti, se avessi potuto udire la melodia dello strumento di Orfeo.

Ma sapevo che lo avrei rivisto, sapevo che il suo canto addolorato mi avrebbe raggiunta e quando il dio degli Inferi e sua moglie Persefone mi bisbigliarono di seguirlo me lo ritrovai davanti accanto ad Ermes, che lo accompagnava.

Niente mi avrebbe fermata dall’uscire da quel luogo con lui.

E io chiamavo il suo nome con tutta l’aria che avevo nei polmoni, la mia voce rotta e graffiata rimbombava: non venni degnata di uno sguardo, potevo solo scorgere la sua schiena scossa da movimenti irregolari dettati dal suo affanno.

Solo giunti al confine tra l’oscurità e la luce, Orfeo si girò di scatto e vidi per l’ultima volta i suoi occhi scrutarmi con l’immenso dolore causato dal pentimento, ma anche con amore e adorazione, prima di venire risucchiata nella mia eterna prigionia.

Fu allora che compresi il mio e il suo errore.

La nostra bramosia è stata anche la nostra condanna.

Ma Orfeo, mai potrei provare rancore o rabbia nei tuoi confronti. Mi basta aver visto il tuo viso di nuovo.

Ti lascio andare amore mio, vivi anche per me. 

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