Trittico di Flaminia Perno di III E ispirato ai versi 67-72 del canto XIII del “Purgatorio”, fotografie di Martina Mauri e Flaminia perno

E come a li orbi non approda il sole, 
così a l’ombre quivi, ond’io parlo ora, 
luce del ciel di sé largir non vole;                                  

ché a tutti un fil di ferro i cigli fóra 
e cusce sì, come a sparvier selvaggio 
si fa però che queto non dimora

di Flaminia Perno (III E)

Nel “Purgatorio” Dante intraprende un percorso di purificazione spirituale e soprattutto di crescita individuale che, seppure non con lo stesso afflato religioso, anche noi giovani studenti affrontiamo. Come Dante abbiamo bisogno di una guida, i nostri professori, che similmente a Virgilio, ci accompagnano nel nostro percorso di maturazione, fino a che giunge il momento di separarsi. Il Purgatorio è, inoltre, un luogo affascinante, che mette in comunicazione i vivi e i morti, pervaso dalla contrapposizione tra la sofferenza delle pene, che richiamano i tormenti infernali, e l’atmosfera distesa, pacifica che anticipa il Paradiso. Nella seconda cornice  è particolarmente evidente questa dicotomia: qui risiedono le anime degli invidiosi, i quali affrontano una delle pene più “infernali” del Purgatorio. Per questo motivo abbiamo scelto i vv. 67-72, in cui è descritta l’altra punizione cui sono sottoposte le anime: non possono godere della luce del sole, perché le loro palpebre sono cucite da fil di ferro, sono costretti ad indossare un mantello di lino ruvido e pungente; tanto è il dolore da doversi appoggiare l’un contro l’altro o alla rupe. Ci ha affascinate, infine, la similitudine tra gli invidiosi e gli sparvieri selvatici, ai quali, secondo un’usanza medievale, venivano cucite le palpebre quando erano irrequieti, in modo da renderli addomesticabili. 

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