di Maria Stella Domenicucci, III B

Ho scoperto Banksy durante uno dei miei viaggi invernali a Francoforte, imbattendomi per caso nello stencil di una bambina con un palloncino sul muro di un palazzo.

Era il mio ultimo giorno di permanenza in Germania e, per l’ansia di vedere e conoscere tutto il possibile di quella città, avevo concluso i giri in programma con un anticipo di mezza giornata. Alzando lo sguardo dallo stencil lessi sul palazzo: “The art of Banksy, without limits”, con sotto una piccola precisazione, “Unauthorized exhibition”. Dal titolo rimasi colpita, così colsi l’occasione per occupare quel poco tempo rimasto a mia disposizione, presi un biglietto per la mostra ed entrai.

La prima impressione che ebbi fu quella di trovarmi in un luogo senz’altro anticonvenzionale.

Nel 2010, la rivista americana Time pubblicava la classifica delle 100 persone più influenti dell’anno, facendo comparire tra queste l’artista di street art contemporanea Banksy.

Descritto dall’opinione pubblica come “artista della guerriglia”, “terrorista dell’arte” o – per chi usa un modo di dire più prosaico – “burlone”, Banksy si distingue per la sua arte antiautoritaria, ironicamente provocatoria, moralista e sulla demarcazione del legale.

Chi sia l’artista è, sin dalle prime apparizioni dei suoi lavori in giro per il mondo, ancora un mistero. La celebrità è il suo anatema.  «Fa tutto questo e resta anonimo. Penso che questo sia fantastico. Nei nostri giorni tutti tentano di essere famosi. Ma lui ha l’anonimato», disse Brad Pitt commentando una delle mostre di Banksy in un magazzino di Los Angeles (alla quale l’artista neanche si presentò).

A renderlo noto in tutto il mondo sono l’ironia e la furtività con cui è riuscito a fondere l’arte dei graffiti con installazioni e performance. Le sue opere assumono solitamente la forma di stencil multistrato combinati con varie fonti multimediali che, con il loro carattere satirico, combinano umorismo oscuro a messaggi su arte, filosofia e politica.

Nella mostra “Turf War” del 2003, ha dipinto sui corpi di maiali vivi. Alla sua mostra “Crude Oils” a Londra nel 2005, che presentava repliche alterate delle opere di Claude Monet, Vincent van Gogh e Edward Hopper, ha liberato 200 ratti vivi nella galleria. Nel 2005 Banksy, completamente travestito, ha installato le sue opere sulle pareti dei principali musei di New York e Londra, tra cui il Metropolitan Museum of Art e la Tate Britain.

Ama provocare la società e lo fa con poesia, energia e umorismo. La sua arte ha il potere di unire le persone e ispirarle a cambiare il mondo in meglio.

Nell’ottobre 2018, una rivisitazione pittorica del suo murale “Girl with Balloon” è stato venduto alla casa d’aste Sotheby’s a Londra per 1,04 milioni di sterline. Dai numerosi video a testimonianza dell’evento, si può notare lo stupore di tutti i presenti quando, poco dopo l’abbattimento del martello, la stampa ha iniziato a passare attraverso un distruggidocumenti installato nella cornice, distruggendone metà. La ragazza con i palloncini di Banksy, votata come l’opera d’arte più amata del Regno Unito nel 2017, è diventata il primo esempio di dipinto autodistruttivo, con il nuovo titolo: “Love is in the Bin”.

Un pilastro cruciale dell’attivismo di Banksy, poi, è la sua posizione contro ogni forma di guerra e violenza. Basti guardare la sua stampa “CND Soldiers”, raffigurante due soldati vestiti con equipaggiamento da combattimento che dipingono un segno di pace rosso brillante su un muro; o “Turf War”, un ritratto ironico di Winston Churchill che sfoggia una cresta verde brillante; e “Napalm”, dove inserisce la figura di un bambino che piange da una fotografia originale scattata durante la guerra del Vietnam tra un allegro Topolino e Ronald McDonald.

Baksy gioca con l’ordinario, stravolge le convenzioni, ripudia il lucro. Il suo messaggio di protesta contro disuguaglianza, violenza, oppressione e guerra risuona tra costanti innovazioni ed ironia.

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