di Bianca Muffato, II F
La tragedia greca è un genere letterario che nacque e si sviluppò ad Atene nel V secolo a.C e che in solo 80 anni andò incontro ad una profonda evoluzione dal punto di vista dei temi e dei personaggi.
Questa corrente letteraria prosperò durante il massimo splendore della di Atene, durante l’ età di Pericle, e morì con la fine della πόλις; può essere quindi collocata in un periodo storico che va dalle Guerre Persiane alla Guerra del Peloponneso.
La tragedia nacque in un contesto riconducibile a quello del culto del dio Dioniso, e non a caso le opere tragiche venivano rappresentate durante gli agoni proprio in occasione di feste religiose cadenzate, come per esempio le Grandi Dionisie.
Le tragedie traggono materia di ispirazione dell’ epopea, ma la modalità in cui le vicende erano rappresentate era diversa, essendo cambiato il pubblico e le due esigenze.
La tragedia riprende il mito, che per i Greci corrispondeva alla verità in quanto storia e religione, e lo va a rappresentare in modo che esso tangibile mettendo al centro l’ uomo e la sua sofferenza.
La struttura delle opere è schematica e presuppone che la narrazione degli eventi si svolga simultaneamente in due luoghi diversi, permettendo così al coro di assumere un ruolo preponderante.
Questo ruolo tuttavia verrà mano a mano ridotto drasticamente, finché il coro non venne rilegato ad un ruolo marginale.
I tre massimi esponenti della tragedia sono Eschilo, Sofocle ed Euripide, ed ognuno di loro mette in evidenza un aspetto diverso all’ interno delle tragedie.
Difatti con Eschilo la tragedia è maggiormente incentrata sul tema della giustizia divina, che per il tragico è onnipresente all’interno della vita umana.
Il mondo di Eschilo è lungi dall’ essere ideale, infatti è governato dalla violenza e dal mistero, tuttavia è un mondo sacro che aspira a raggiungere la giustizia degli dei, che per Eschilo hanno un ruolo attivo nelle vicende umane.
Per Sofocle invece il perno attorno al quale si svolge l’ azione è l’ uomo stesso, che nelle sue opere si ritrova all’ interno di questioni morali da cui scaturiscono conflitti volti ad isolare il protagonista, come visto nell’ “Antigone” e nell’ “Aiace”.
A differenza poi di Eschilo, Sofocle dimostra un maggior interesse nella psicologia dei suoi personaggi, che viene evidenziata dalle loro azioni.
I personaggi si fanno più complessi e la rappresentazione diventa più coinvolgente attraverso l’ uso delle peripezie, ovvero mutamenti improvvisi che vanno a sconvolgere gli avvenimenti delle tragedie.
La massima innovazione del genere tuttavia si raggiunge con l’ultimo dei tragici, Euripide, nelle cui opere vengono trattate maggiormente le passioni umane, che diventano la causa scatenante del susseguirsi delle azioni umane.
Con Euripide si hanno dei ritratti anche troppo umani ed estremamente sfaccettati psicologicamente, il cui esempio per eccellenza è Medea, mentre gli dei perdono il loro precedente ruolo e intervengono solo per porre fine alle disgrazie umane sotto forma di “deus ex machina”.
La struttura della tragedia e la sua rigidità nel rappresentare un’ unica scena in un solo tempo e luogo rimase immutata, eppure in un breve arco di tempo la tragedia cambiò radicalmente attraverso un processo innovativo che si chiuderà soltanto con la caduta di Atene e la fine del genere.
Nonostante siano passati più di duemila anni, anche oggi la tragedia svolge un ruolo importante all’interno della nostra società, poiché rappresenta la sofferenza umana, tema comune a tutti gli uomini, indipendentemente dal sesso o dalla condizione sociale, aiutandoci nel contempo a metabolizzare il dolore.