di Sofia Liverani, II F
Oh mare, infame creatura
t’invoco con le ultime forze a me rimaste;
sulla tua infinita azzurra sfumatura,
mentre ricordo or lontane mattinate fauste
gli occhi stanchi e arrossati poso.
Il nome bestemmio del turpe Nettuno,
e non mi preoccupo che mi sia riottoso
com’egli fu già con Nessuno,
perché ‘l mio sfogo vano non potrà
placare l’animo mio, dal tuo inganno
lacerato senza pietà,
dacché facesti irreparabil danno.
Villano mar, mi portasti ‘l sol uomo pio
degno d’esser adorato,
mi pareva fosse un dio,
quasi l’ebbi venerato;
ma ora scalzi vedi,
da quando ‘l cor mio più non tacque,
stremati i miei piedi
in queste tue torbide acque
il cui sale tormenta le ferite ancor
aperte, e nel frattempo sospiro
rassegnata pel suo amor,
uno strazio ogni respiro
per ‘l mio cuore esanime.
E come mi svuotano
completamente le lacrime,
così queste alimentano
le stesse onde
che ancor m’uccisero.
Gentili furon tue sponde
quando lo lasciasti libero:
deformato dal dolore:
nello specchio quasi più non mi conosco.
Il fuoco della passion che con vigore
in me fulgeva già s’è affievolito;
tra le tue torbide acque sì profonde
voglio che si estingua, ormai finito,
sommerso tra le tue onde:
concluderai sol così
ciò che cominciasti. E con affanno
tenteranno un vicino dì,
prima che dell’Ade io passi la porta,
di rianimarlo, ma invano,
poiché io son già morta.
L’immagine in evidenza è Death at sunset for Sappho, dipinto del 1881 di Miguel Carbonell Selva.