di Thea Ceccarelli, III G
Allo sfolgorante bagliore di Amore impallidisce la fiamma stessa della lucerna. E lì sta Psiche, immobile, resa inerte dalla bellezza di quel volto divino, dalla scultorea e perfetta eleganza di un corpo figlio di Venere, dalle rugiadose ali di suo marito. La vergogna accompagna l’ammirazione. Vorrebbe punire sé stessa con quella sacrilega lama, arma attraverso la quale, indotta dalle sorelle invidiose, ha tentato di uccidere il mostro, quel suo compagno di talamo misterioso, un mostro che in quel momento sa la bestia più mite e dolce di tutte, Cupido in persona.
Giocando tra le armi di Amore, Psiche punge poi le proprie delicate dita con una freccia. Ferì sé stessa con l’amore di Amore. La luce che le concede di vedere la tradisce, una goccia d’olio bollente cade sulla pelle di Cupido e colui che è il dio di tutti i fuochi rimane scottato da Psiche.
Tradito, offeso e dolorante, solo vola via e la sposa infelice tenta di rimanere aggrappata a questi che progressivamente si eleva in cielo sempre più alto, lontano, irraggiungibile e Psiche è costretta a cedere, lasciare la presa per poi precipitare.
Il sentimento che vive la ragazza, la fenomenologia del suo amore, è diametralmente opposto al consuetudinario approccio all’amore.
Si è soliti venerare un’idea quale oggetto del proprio desiderio, trasferire sull’amato qualità che troppo spesso non possiede, per poi scoprire, delusi, che questi è umano in carne ed ossa e non un’idilliaca creatura di nettare e ambrosia.
Leopardi nell’operetta “Tasso e il suo genio famigliare”, racconta di un uomo che, dopo aver sognato la donna amata, il giorno successivo la fugge per non corrompere quell’immagine con l’effettiva persona vivente, ma depotenziata.
Quanto narrato da Apuleio, a mio giudizio con un certo gusto ironico, è il sentire contrario.
La dolce Psiche, bella, tenera, ingenua è disposta ad accogliere qualsiasi sembianza del marito. La sua curiosità intellettuale è resa paga dalla comodità di un vivere agiato, dalla gentilezza del compagno, dal carnale piacere che ha scoperto e al quale ogni notte si concede.
Psiche non è mossa da quella caratteristica per cui è noto Ulisse. Psiche è manipolata dall’invidia delle sorelle. La curiosità che inizia a nutrire non è partorita dalla sua mente, genuina e semplice, le viene inculcata dall’esterno.
Decide di agire, si arma di coraggio e per farlo ha bisogno di sentirsi forte come un uomo, a differenza delle eroine euripidee non è in grado di esserlo in quanto donne.
Nel corso dei secoli la favola di Apuleio ha accarezzato l’immaginario di artisti che ne hanno offerto una propria rilettura. Ha mosso la penna di Leopardi e Pascoli. Ha guidato il pennello di Raffello, Giulio Romano, David e lo scalpello di Canova.
Nel marmo bianco echeggia eterno l’abbraccio che tende Psiche al proprio Amore. Amore che la sostiene sfiorandone il grazioso seno, che le regge il capo in un sussurro di dolci parole. Amore che in un lento progredire immobile si avvicina sempre più alle labbra di lei per poi strappare un morbido e delicato bacio.
Il gruppo scultoreo è ubicato al Louvre ma vive nell’immaginario collettivo, nel cuore del singolo. L’artista veneto, protagonista del Neoclassicismo, realizza anche un’altra versione. Ritrae i protagonisti stanti l’uno fianco all’altra. Le mani dei due si congiungono, si toccano e all’interno del contatto si vede una farfalla. Psiche, dal greco farfalla o anima.
La fortuna del mito è anche dettata da una sua reinterpretazione Neoplatonica. É possibile leggere nella favola valori cristiani o quantomeno scorgerne la parvenza. L’anima attraverso un percorso di penitenza si emancipa dal peccato e conquista l’eternità.
Psiche è costretta da Venere a ordinare e catalogare una miriade di semini, tosare greggi feroci, riempire un’ampolla presso una fonte che sgorga da fauci di coccodrilli e, dulcis in fundo, scendere negli Inferi per ritirare da Proserpina, consorte di Ade, un’edificante lozione di bellezza.
Il suo agire non è eroico ma la fortuna premia la tenera bontà che la caratterizza. Porta a compimento tutte le prove. Stringe fra le mani l’oggetto del desiderio di Venere e, in quel momento, inciampa nell’errore, apprezzare una crema di bellezza che è ad appannaggio del divino.
Cara Psiche, se errare è umano perseverare è diabolico. Come si può dunque stimare il suo percorso una palingenesi spirituale?
La ragazza cade in sbagli di natura diversa. Non imputo i suoi mali alla curiosità. In un primo momento è vittima di un’indole poco solida, una personalità dai tratti sbiaditi, un carattere facilmente direzionabile. Nel secondo evento invece è la vanità che la muove, un frivolo sentire. La risultante di entrambe le digressioni è pur sempre la ὕβρις, il tentativo di superare e valicare quei confini umani sanciti dal divino.
Se Psiche non apprende nulla e tantomeno conquista un maggior grado di consapevolezza, perché gode di un lieto fine? Sposa Amore, ottiene protezione da Zeus, ha una figlia con un dio, Voluptas.
E vissero tutti felici e contenti.
Apuleio non allude a valori morali, ne sono convinta. La favola è un inserto narrativo all’interno di quel pastiche stilistico che sono le sue “Metamorfosi”.
Non credo che la letteratura debba avere necessariamente un fine pedagogico, un messaggio intrinseco che si prefigge di impartire. Manzoni scrisse in una lettera a Cesare D’Azzeglio che la letteratura deve avere l’utile per scopo, il vero per soggetto, e interessante per mezzo. Nella mia insignificante opinione al cospetto di Alessandro Manzoni non credo nel miele della poesia che vela un significato amaro. La Letteratura non veicola la risposta, non propina una soluzione. Porta avanti domande.
Apuleio si chiede, ci chiede, mi chiede: che cos’è l’amore?
Platone nel “Simposio” dà voce a Socrate che espone la tesi della sacerdotessa Diotima. Eros è figlio di Penia, mancanza e Poros, l’espediente, e per sua indole è sempre volto al desiderio. Desiderio dal greco δέομαι, avere bisogno.
Mi chiedo però, nel momento in cui il desiderio viene concretizzato come sia possibile portare avanti il sentimento. Come si può evitare lo svilente declino in ordinario. E se, parafrasando Massimo Troisi, Pensavo fosse amore…invece era un calesse?
Massimo Recalcati nel suo saggio “Mantieni il bacio” scrive che, per mantenere vivo l’impeto della passione è necessario vedere l’amato come un libro nel quale ogni nuova pagina è la scoperta di una venatura caratteriale.
E quando il libro finisce? E per me che leggo troppo spesso l’ultima pagina quando ancora non ho concluso l’ultimo capitolo? E chi non legge?
Giovanni Stella una volta ha detto che l’amore non è per sempre. Non è fisiologicamente possibile che il fuoco della passione continui ad ardere. Il desiderio diviene consuetudine, una consuetudine a cui vuoi bene perché parte di te. La persona amata è l’unica abitudine di cui l’uomo non potrà mai fare a meno.
Forse Apuleio sta cercando di dire che per conquistare il “e vissero tutti felici e contenti” è necessario essere il dio dell’amore o una candida ragazza bellissima, pura e totalmente ingenua. Per noi comuni mortali questa condizione non è carpibile ma nel nostro arco rimane un’ultima freccia da scoccare, l’immaginazione. La stessa speranza, l’unico sentimento che Pandora riuscì a preservare nel proprio vaso. Citando un verso di Auden la verità, vi prego, sull’amore non esiste, non ha senso alcuno pregare. Noi comuni mortali possiamo immaginare, sperare e leggere.