di Veronica Angelini, II G, Sofia Liverani e Bianca Muffato, II F
Da 14 anni va avanti a gonfie vele nel nostro Liceo il progetto AUREUS, che arricchisce ogni giorno con visite e lezioni in inglese la Storia dell’Arte che si fa in classe. Lasciamoci ora raccontare di che cosa si tratta dai docenti di Storia dell’Arte che si occupano in prima persona di portare avanti il progetto.
Incominciamo dal principio. Come e perché è nato il progetto AUREUS?
Prof.ssa Paola Picardi – Il progetto è nato grazie alla professoressa Cristina Fiory, che lo ha concepito e dato alla luce qui al Giulio Cesare. Professoressa, peraltro, che era la madre del professor Abbadessa, ora tra i nostri docenti madrelingua Aureus. La professoressa, io, non l’ho conosciuta.
Prof. Luca Calenne – Io l’ho conosciuta. Cristina era docente di Storia dell’Arte e, insieme alla preside dell’epoca del Visconti e alla professoressa Ricciardi, preside invece nostra, reagì a quello che era un depotenziamento della Storia dell’Arte che aveva prospettato il Ministero dell’Istruzione. Io stesso sono arrivato qui a causa di questo depotenziamento, perché insegnavo in una scuola serale: il ministero tolse le ore della Storia dell’Arte anche lì, e insieme a esse la mia cattedra, e quindi sono finito al Giulio Cesare. Di fronte dunque a un momento in cui il ministero sembrava non investire nella Storia dell’Arte a livello nazionale, riducendo le ore dappertutto – di meno al classico, perché già erano poche, ma nelle in scuole in cui ce ne erano di più agì in maniera più evidente – decisero di realizzare un progetto per opporsi a tali direttive.
Quali credete che siano i motivi per cui il progetto AUREUS ha avuto successo?
Prof. Calenne – All’epoca la sezione Cambridge non esisteva ancora, quindi il potenziamento dell’inglese fu un elemento decisivo per l’AUREUS al momento della sua nascita. La vera intuizione – di Cristina, ovviamente – fu però quella di associare alle lezioni che si facevano in classe un vasto programma di visite guidate che andavano a integrarsi perfettamente alla didattica teorica. Tant’è vero che delle schede di teoria che diamo agli alunni per agevolare lo studio per i compiti AUREUS, le più vecchie sono quelle che aveva redatto lei stessa.
Fu dunque un’iniziativa limitata al Giulio Cesare?
Prof. Calenne – Certamente no, già solo all’epoca almeno una ventina di scuole in Italia decisero di aderire al progetto. Non c’è nemmeno un “copyright”, per così dire, che impone direttive ferree alle scuole aderenti, quindi ogni istituto lo può interpretare in maniera diversa: per esempio, il Visconti fa il mese dell’AUREUS, l’Anco Marzio fa una sperimentazione di due classi dell’AUREUS; una volta fui contattato da una scuola siciliana, quando ero coordinatore del progetto, che chiedeva informazioni su come lo facevamo noi.
Prof. Picardi – Ancora adesso noi siamo un modello: così come diceva il professore, quest’anno, professori di due scuole, una piemontese e l’altra laziale, mi hanno telefonato, in quanto coordinatrice del progetto, perché volevano integrare l’AUREUS nei loro corsi, e chiedevano come lo organizziamo. Chiedono a noi perché effettivamente ne mettiamo in atto una versione più integrale.
In che senso?
Prof. Calenne – Altri istituti lo fanno in altra maniera – ognuno lo fa bene, tutto ciò che va nel senso di fare più Storia dell’Arte va bene – però noi l’abbiamo talmente integrato nella didattica quotidiana che i nostri studenti prendono i voti sulle visite guidate. È una cosa un po’ diversa: non è semplicemente un mese in cui viene Montanari a parlare dell’AUREUS, si fa la mostra dei capolavori prestati a tale museo, però il mese successivo diventa come se nulla fosse – certo non prendono i voti su quelle cose. La caratteristica del nostro AUREUS è che è stata integrata perfettamente nella didattica e che è un progetto di successo.
Riuscite a vederlo nel quotidiano?
Prof. Picardi – Sicuramente. Poi, sono anni che abbiamo tantissimi iscritti. Abbiamo festeggiato il decennale, quattro anni fa, e anche solo in quell’occasione vedemmo chiaramente come anche gli studenti lo vivano bene, e come effettivamente sia un progetto di grande impatto. Io e il professore riceviamo ancora messaggi di ex-alunni che ormai sono dottori, commercialisti, avvocati, che sono tutt’altro che storici dell’arte, ma che ancora hanno il gusto di ciò che hanno appreso durante le visite; ci mandano le fotografie, “ho visto questo, ho visto quello”, perché rimane il piacere della scoperta del nostro patrimonio, che è un grande regalo che uno può ricevere a quell’età. Ai tempi nostri non c’era proprio nulla di equivalente, altrimenti mi ci sarei tuffata.
L’andamento del progetto AUREUS è sempre rimasto stabile?
Prof. Calenne – Essendo l’unica sperimentazione ed essendo una novità, i primi anni abbiamo raggiunto anni dove erano 25 le classi impegnate nel progetto AUREUS. Adesso sono la metà. C’è però da sottolineare che non c’era la concorrenza della sezione Cambridge: all’inizio, chi sceglieva l’AUREUS, lo faceva soprattutto perché voleva puntare sull’inglese, mentre adesso è un’alternativa. Abbiamo poi avuto due anni terribili con il covid: è naturale che se offri di fare le visite e poi nel concreto non le si possono svolgere, uno preferisce altro.
Cosa accadde durante il periodo del covid?
Prof. Picardi – Durante il periodo di lockdown, ovviamente non abbiamo potuto fare nessuna visita – ma neanche lezione in classe, quindi non stupisce. Durante i mesi successivi, quando ancora vigevano delle restrizioni, abbiamo redatto un programma che prevedeva l’ipotesi A, il museo o la mostra che avremmo dovuto vedere, e l’ipotesi B, nel caso non fosse stata possibile la visita, che era una passeggiata alternativa. Abbiamo visitato monumenti all’aperto, edifici, parchi – insomma, una valida alternativa a visite al chiuso. Giocando su questo doppio binario siamo riusciti a farvi vedere comunque delle belle parti della città.
Perché uno studente dovrebbe scegliere la sezione AUREUS?
Prof. Picardi – Per consapevolezza personale. Noi viviamo a Roma e molto spesso neanche ci rendiamo conto delle meraviglie artistiche che abbiamo intorno, le diamo per scontate, mentre la gente viene da tutto il mondo per vedere ciò che abbiamo, che noi consideriamo la normalità. Spesso non ne siamo nemmeno consapevoli. Dovendo scegliere un caso di arte paleocristana da visitare, abbiamo sì l’imbarazzo della scelta, però abbiamo designato Sant’Agnese anche perché buona parte degli studenti sono del quartiere e magari sono cresciuti giocando a calcio in parrocchia senza sapere di essere all’ombra del mausoleo di Costanza, o correndo sul suolo che nasconde le catacombe-
Prof. Calenne – Ci sono anche adulti della nostra età che candidamente dicono di non essere mai entrati nella Basilica Vaticana, o di non aver mai visto i Musei Vaticani, per citarne due. Io a quel punto mi chiedo: “Quanto cambierebbe allora vive a Chiavari, o a Copenaghen? Che ci vivi a fare a Roma?”
Quali sono gli altri vantaggi?
Prof. Calenne – Una città come Roma ti chiede tanto, ma ti offre pure tanto. Se tu sei solamente uno che vede la città dal punto di vista meramente pragmatico – per dire, mezzi di trasporto, lavoro, servizi pubblici o tutte le cose brutte che possiamo immaginare – è un conto; ma se pensi quello che c’è a Roma per passare un pomeriggio immerso nella bellezza, allora la bilancia si riassesta senza fatica. Conoscere a faccia a faccia una città come questa non è una cosa da tutti i giorni.
Perché credete sia importante studiare la Storia dell’Arte anche in inglese?
Prof. Picardi – Ritorniamo un attimo a 14 anni fa, alla nascita del progetto. Adottare questa metodologia che si chiama CLIL di mettere in pratica la lingua direttamente in una situazione in particolare – studiando quindi la disciplina – aiuta a non limitarsi all’ora di grammatica bensì di sperimentare nel vivo cosa significhi saper discutere di qualsiasi cosa in una lingua straniera. L’inglese è fondamentale impararlo, si sa, e la generazione attuale dei nostri studenti è ormai una generazione che non ha più problemi, ma non era così qualche anno fa.
Prof. Calenne – Alla fine io ritengo che non sia tanto importante per l’inglese in sé, quanto sia importante perché per dirlo in inglese, lo devi aver ben inteso prima nella tua lingua madre. Sarebbe lo stesso se lo facessimo in tedesco, o in francese; semplicemente l’inglese già lo portate in dote dalle scuole elementari. Lo potremmo fare pure in latino, per dire, ma non credo che gli studenti ne sarebbero entusiasti. Il cuore della questione è che nel momento in cui bisogna trasferire ciò che si sa da una lingua all’altra, c’è uno sforzo in più, e lo sforzo in più è esattamente quello che chiediamo.
Al momento il progetto AUREUS offre la peculiarità dell’inglese e delle visite, quindi principalmente uno studio teorico, come è solito nel classico, ma c’è stato o ci sarà in programma, di passare anche al pratico?
Prof. Picardi – Ci sono due fronti di “pratico” in questo profilo. Siamo riusciti a portare i nostri studenti a conoscere la realtà lavorativa di chi è storico dell’arte, archeologo o restauratore, per esempio, come è stato fatto a un PCTO l’anno scorso a Palazzo Barberini, o uno all’Accademia di San Luca qualche anno fa. Dal punto di vista invece del “pratico” inteso come saper fare, dipingere, affrescare, abbiamo avuto un progetto anni fa, come testimoniano i mosaici e gli affreschi realizzati da nostri studenti appesi nei vari corridoi.
Prof. Calenne – Ma quello non era AUREUS, era un’altra cosa. Questi bellissimi manufatti che si vedono nei corridoi venivano da un corso che si chiamava “di restauro”. Alla fine, le persone che vi partecipavano erano le stesse, perché molti ragazzi che facevano l’AUREUS poi si appassionavano. Ma si trattava di un corso di restauro che era stato proposto e coordinato dal professore di Storia dell’Arte Fabio Belisario, che è andato in pensione da diversi anni. Costui era in contatto con un restauratore e, acquistati la scuola i materiali, i ragazzi potevano svolgere il corso pomeridiano. Quando il professore andò in pensione noi, con un po’ di ingenuità, pensammo che il corso potesse continuare; per una serie di motivi, tra cui il restauratore che si tirò indietro, il corso non fu poi mai ripristinato.
Confesso che per noi sarebbe bello chiamare qualcuno qui per farvi fare qualcosa di manuale. Arrivati i fondi del PNRR, noi abbiamo proposto di riattivare il corso e quindi abbiamo chiesto di avere degli spazi dedicati, un’aula con le relative strumentazioni, luci apposite, acqua – insomma, tutto il necessario.
Prof. Picardi – E quindi, perché no? Speriamo, speriamo. Già ci distinguiamo come declinazione, diciamo, intensiva dell’AUREUS… se riuscissimo ad aggiungere anche questo sarebbe un ulteriore fiore all’occhiello.
Avete riscontri pratici anche dall’esterno del successo del progetto?
Prof. Picardi – Organizziamo periodicamente visite guidate che fungono da orientamento in ingresso per aspiranti iscritti all’AUREUS – visite condotte dagli studenti per genitori o per altri studenti – e già da me vedo che assolutamente si distinguono sempre per bravura. Abbiamo ripetuto da poco l’esperienza della visita alla basilica di Sant’Agnese e al mausoleo di Costanza con delle docenti venute per il progetto Erasmus+ dal Belgio: gli studenti hanno ricevuto moltissimi complimenti. Dopo la visita ci siamo presi un cappuccino nel caffè del complesso di Sant’Agnese, è stato molto piacevole. Si sono trattenute davvero a lungo, non se ne andavano più!
Volete aggiungere qualcosa?
Prof. Calenne – Una collega mi raccontò una volta di una studentessa AUREUS che si trovò addirittura in un colloquio di lavoro in cui l’intervistatore, di tutte le cose strabilianti che questa ragazza aveva scritto nel curriculum, fu colpito maggiormente proprio dal progetto AUREUS – di cui costui non sapeva nulla. Le chiese informazioni, tutto stupito. Poi la presero per questo lavoro perché effettivamente, al di fuori dell’ambiente scolastico, una cosa del genere è veramente sorprendente.