di Veronica Angelini, II G, e Sofia Liverani, II F

Abbiamo incontrato le Prof.sse Bocci e Morigine appena rientrate dalla loro esperienza Erasmus+ presso il Sint-Lievens College di Gand in Belgio.

In cosa è consistita la vostra esperienza di job shadowing e com’erano articolate le vostre giornate?

Prof.ssa Bocci: Siamo arrivate di domenica in Belgio, nel primo pomeriggio, e abbiamo fatto subito un sopralluogo della zona, preoccupandoci dell’organizzazione logistica; lo job shadowing effettivo è iniziato lunedì mattina. Ci siamo presentate a Chris Matthews, che è il policy coordinator: ogni sei anni hanno un controllo di qualità da parte dello Stato e quindi c’è una persona che si occupa di verificare che tutte le cose vadano per il verso giusto. Chris è poi anche il responsabile Erasmus, quindi era ovviamente la nostra figura di riferimento. In mobilità eravamo quattro docenti dall’estero: io e la professoressa Morigine, e due colleghe da Tallinn. Abbiamo visitato la scuola, una sede storica che ha degli spazi bellissimi, e abbiamo fatto un primo briefing in cui Chris ci ha chiarito come funziona il loro sistema scolastico: importanti differenze sono, per esempio, il fatto che il liceo finisce un anno prima rispetto a noi, quindi gli studenti si diplomano a 18 anni avendo fatto sei anni di elementari e sei di liceo, a differenza del nostro modulo cinque-tre-cinque di elementari-medie-superiori.

Prof.ssa Morigine: Da martedì a venerdì abbiamo invece osservato in prima persona lo svolgersi delle lezioni, ora per ora, per lo più di latino e greco, con diversi docenti, ma abbiamo seguito anche classi di arte, informatica, elettronica, e quindi materie STEM, che era uno degli obiettivi che il nostro scambio aveva. Appunto confrontare metodi in merito alle materie classiche a acquisire nuove competenze in ambito tecnologico, esplorare strumenti e tecniche di quella scuola nordeuropea. Sapevamo infatti che un loro docente era esperto cultore delle applicazioni dell’intelligenza artificiale alla didattica.

Come siete stati accolte?

Prof.ssa Morigine: Molto bene, anche perché abbiamo reincontrato dei docenti che avevano fatto a loro volta job shadowing da noi nel mese di febbraio, quindi avevamo già un contatto di conoscenza diretta. Al di là di questo, si sono dimostrati molto organizzati, molto professionali e felici di ospitarci e  condividere le loro attività con noi.

Tra le attività a cui avete partecipato, quali sono state le più interessanti?

Prof.ssa Morigine: Per lo più sono state attività di classe, nelle quali abbiamo potuto apprezzare la modalità smart e molto dinamica delle lezioni dei colleghi fiamminghi. In due casi, però, abbiamo seguito i rispettivi professori e classi in due uscite didattiche: una in Università, presso il Dipartimento di Numismatica. l’altra in una azienda che si occupa di organizzazione di eventi musicali. Il tutto a piedi e a gran ritmo (ride, n.d.r.).

Prof.ssa Bocci: La lezione in particolare che mi ha appassionato di più è stata quella proposta dal professore di latino, Kim Moens, che dopo una introduzione in classe ci ha portato alla Buchentoren, ovvero la torre dei libri della biblioteca dell’Università di Gand, che ha uno spazio proprio dedicato alla numismatica. Lì si trova una collezione importante di monete che abbiamo visto da vicino con gli studenti; ci trovavamo davanti a un patrimonio di grande valore sia economico che culturale e ai ragazzi era lasciata una certa libertà nel manipolarlo.

Prof.ssa Morigine: Peraltro non è stato nemmeno necessario per noi presentare un documento per avere accesso o essere autorizzati e ciò, insieme ad altri aspetti, ha contribuito ad un’organizzazione estremamente snella e agevole. La stessa impressione di facilità di movimento e di velocità l’abbiamo avuta nel complesso in tutte le attività, anche in quelle di classe. Sono snelli, per così dire, e dinamici.

E per quanto riguarda la seconda uscita didattica?

Prof.ssa Morigine: L’altra uscita invece è stata più sorprendente, nel senso di una maggiore distanza dalle nostre abitudini consuete: siamo andate con una classe e l’insegnante di arte a visitare una piccola azienda che si trovava in un bel palazzo in centro, con personale molto giovane, che si occupa di organizzazione di concerti di artisti del calibro di Elton John, Shakira, Morricone – pare che in Belgio siano loro i leader in questo campo. Non è stato certo un tipo di uscita che noi solitamente organizziamo, ma l’insegnante di arte ci diceva, e poi lo stesso un suo collega, che non possono insegnare storia dell’arte per indicazione ministeriale, ma operano per temi: essendoci tra i temi il visual come anche la musica, l’uscita completava il programma che la docente stava svolgendo ed era appunto estremamente ancora una volta smart – e allenante dal punto di vista fisico: 5 km in 15 minuti a piedi (ride ancora).

Come si sono svolte le attività in classe?

Prof.ssa Morigine:  Anche le attività di classe sono state interessanti, perché il metodo che i professori di latino e greco fiamminghi utilizzano è differente dal nostro: lavorano molto sul lessico, su testi brevi, usando poco o per niente libri di testo. Producono delle dispense di passi scelti che i ragazzi inseriscono in classici quadernoni ad anelli. Ci è parso di capire che non facciano storia della letteratura, e certamente non traducono: da questo punto di vista è un altro mondo. Al di là dei punti di vista e delle abitudini radicate di lavoro, anche questi momenti di job-shadowing sono stati molto interessanti perchè ci hanno permesso di ascoltare e praticare in un modo differente l’insegnamento delle nostre discipline. Personalmente, devo dire, sono partita con delle domande che mi derivano dalla pratica quotidiana in classe sulla traduzione del greco e del latino, sia nel biennio che nel triennio, se serva ancora, se funzioni, se vada ancora bene, e sono tornata ancora con più domande ancora. D’altronde il dubbio è la molla di ogni conoscenza.

Prof.ssa Bocci: Una risposta, a mio avviso, a queste domande su quale sia poi il più giusto da mettere in pratica, è stata poi nuovamente messa in discussione scoprendo che loro non hanno un esame di Stato alla fine dell’ultimo anno. È chiaro che il nostro modus operandi, con la grande importanza che diamo all’autonomia che si richiede nel lavoro di uno studente messo da solo davanti a un testo, al trovare la propria traduzione piuttosto che fornirla già noi, deriva anche dal fatto che noi abbiamo questa prova finale che incombe e che è qualcosa che noi non scegliamo.

Prof.ssa Morigine: Un’altra ragione della differenza sta nella nostra impostazione storicista: ogni cosa è contestualizzata nel periodo storico in cui è stata prodotta, il che appartiene tradizionalmente proprio alla formazione culturale di noi docenti come era in passato per i nostri docenti. Il modo che continuiamo a utilizzare per trasferire agli studenti le nostre conoscenze è onestamente più impegnativo, più pesante, più gravoso per entrambe le parti. Ovviamente non siamo andate in Belgio per trovare la verità assoluta, perché chiaramente non esiste il giusto e non c’è lo sbagliato, non c’è il migliore e non c’è il peggiore, bensì solo il diverso. Non a caso, Erasmus+ richiede non solo che vengano acquisiti nuovi contenuti culturali, ma anche che si venga stimolati nel rapporto con il diverso, nel comportamento ecologico, nell’apertura alla cittadinanza: gli obiettivi sono trasversali, non solo disciplinari, un po’ come i goal dell’Agenda 2030. Non a caso ovviamente.

Infatti personalmente ho vissuto l’esperienza Erasmus come un’occasione importante per muovermi in Europa e sentirmi libera di osservare e praticare il mio essere adulta e cittadina in modo diverso, in una condizione fortunata. Come un dono, un’opportunità di arricchimento personale e di maturazione come cittadina europea, non solo come docente. Mi ha aiutato a uscire dalla chiusura dei meccanismi scolastici e dall’autoreferenzialità, facendomi capire che la dimensione giusta non è quella piccola e locale, ma quella più ampia.

Sarebbe rimasta lì a Gand?

(Ride) Un po’ più a lungo, sì. Mi sarebbe piaciuto insegnare lì, provare i metodi di lavoro in prima persona e migliorare anche l’uso delle lingue. Devo dire però che, grazie alla conoscenza dell’inglese, di un po’ di tedesco e grazie alle basi solide di latino e greco, ci siamo capite abbastanza anche con i colleghi fiamminghi.

Si può dire che questa esperienza abbia aiutato anche a instaurare un rapporto tra voi due docenti?

Prof.ssa Bocci: Alla fine, posso dire che ci siamo davvero conosciute: ho scoperto aspetti della sua vita e del suo carattere che prima non conoscevo, ed è stata una sorpresa positiva. Anche se non avevamo una vera e propria amicizia prima, questa esperienza è stata una scoperta nella scoperta, perché nella vita frenetica della scuola spesso non c’è il tempo di conoscersi davvero.

Prof.ssa Morigine: Confermo. Ci conoscevamo appena prima del viaggio, chiacchieravamo in sala professori, ma nulla più. Questa esperienza ci ha permesso di scoprirci anche dal punto di vista umano. Ci siamo trovate in perfetto accordo e abbiamo condiviso anche il desiderio di esplorare i dintorni durante il tempo libero. Abbiamo camminato davvero tantissimo e in totale sintonia.

Per concludere, cosa vi rimane di questa esperienza?

Prof.ssa Morigine: Tutto ciò che abbiamo detto sopra, quindi un’esperienza professionale e anche umana forte: scoprire e conoscere persone da una parte, sentirsi cittadini europei dall’altra. Questo sicuramente rimane.

Prof.ssa Bocci: Io ho girato tutta l’Italia come insegnante, dalle Marche a Roma, da Milano a Bologna fino a Siracusa; questo passo verso l’Europa mi mancava. Ho visto tanto altro rispetto a questa scuola, rispetto a Roma, quindi questo passo verso l’Europa è stato per me veramente importante. Spero anzi di poter fare anche qualche altra esperienza analoga.

Prof.ssa Morigine: Ormai sono vent’anni che sono a Roma e tredici che insegno al Giulio Cesare. Ho imparato ad apprezzare il fatto di essere radicata qui perché mi dà la sensazione di rappresentare in qualche modo la scuola, di essere un punto di riferimento per le famiglie che iscrivono i propri figli qui. Direi che questo aspetto unito alla possibilità di spendersi altrove, di conoscere, di muoversi, rappresenta entrambi i lati del mio carattere: l’essere stabile, ma anche molto desiderosa di muovermi. Mi resta la voglia di continuare ad esplorare entrambe le dimensioni, perché esse possano continuare a comunicare tra loro.

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