di Alberto Camerano, III B

Nel 1947 lo storico della filosofia Cesare Luporini pubblica il saggio “Leopardi Progressivo’’, favorendo con il suo contemporaneo Walter Binni la nascita di un ‘’Caso Leopardi’’ e offrendo un’innovativa analisi del pensiero leopardiano. Sempre Luporini nell’Avvertenza all’edizione del saggio si esprime in merito al ruolo dei classici nella storia, passata e presente, guadagnato attraverso la capacità di presentarsi ogni volta nella loro attualità e di offrire nuovi spunti. Leopardi nella propria attività letteraria rivendica sempre la propria natura di filosofo, e proprio inserendosi nel dibattito che aleggia attorno a tale definizione l’autore comincia la propria analisi. Luporini interpreta la parabola del pensiero leopardiano dalle prime esperienze poetiche fino ad una complessa visione del mondo, che trova nella “morale eroica’’ il proprio apice (o forse no, se viene considerata la morte prematura del Recanatese). Molto interessanti sono inoltre le posizioni degli interpreti Walter Binni e Aldo Capitini. Nel caso del primo, in particolare, la critica si sofferma sull’ultima fase della poetica e del pensiero filosofico di Leopardi, con particolare attenzione al componimento de “La Ginestra’’, nel quale emerge la lucidità con cui il pensiero del poeta tocca temi come la natura e la condizione dell’uomo.

Tra gli elementi fondamentali del percorso di maturazione del Recanatese, la natura appare come uno dei più tormentati. Nella sua prima determinazione, la natura si mostra come una ‘’madre benevola’’ che ha donato agli uomini la facoltà dell’immaginazione, in modo da colmare l’insoddisfazione eterna dovuta al desiderio infinito e non attingibile che condanna il genere umano all’infelicità. Progressivamente Leopardi comprende che la natura è un meccanismo cieco e crudele, capace di abbandonare le proprie creature per favorire unicamente la conservazione della specie. Questa consapevolezza culmina con l’immagine di una natura distaccata, priva di interesse per le questioni umane, per le quali non possiede alcuna finalità. Il processo evolutivo della ragione non impedisce al poeta di amare la bellezza della natura, ma permette di comprendere il volto solo apparentemente benigno di quest’ultima. Nell’analisi di Luporini la natura in un primo momento viene associata alla vitalità, una forza che sostiene la vita e che si riferisce alla capacità dell’uomo di vivere in modo spontaneo, senza l’intromissione della razionalità. È proprio la razionalità la causa dei mostri che infestano la società moderna, come l’individualismo e l’odio tra gli individui. Ecco che l’ideale di civiltà si delinea in una condizione intermedia tra ragione e natura, con quest’ultima che assume un valore positivo, Proprio qui viene descritto il concetto di vitalità. Oltre la dialettica natura-ragione, Luporini sottolinea l’indissolubile legame tra natura e storia. La società moderna, invasa dall’egoismo, è caduta nella barbarie, causata dalla natura corrotta dalla ragione. La natura dunque diviene un criterio per valutare le dinamiche sociali e politiche. Successivamente la natura viene descritta come vita ed esistenza, presentandosi in questa seconda connotazione come ciò in cui ha luogo l’esperienza della noia, una realtà indeterminata tra ciò che è e ciò che non è, causata da un fato indifferente. Così nasce il pessimismo leopardiano e la definizione di natura come crudele portatrice di disgrazie. Binni allo stesso modo riconosce la visione di una natura crudele, che non si cura dell’uomo, causando la fede in un progresso e in una felicità che non arriverà mai. Il critico, tuttavia, si sofferma sulla necessità dell’uomo di rispondere a tale condizione, smascherando le illusioni e avviando una lotta che unisca il genere umano e ponga le basi per quella fratellanza che coincide con il vero progresso. L’ideale a cui si fa riferimento è proprio la Ginestra, il fiore del deserto che come ogni creatura dovrà arrendersi al potere distruttivo della natura, ma mai piegando il capo. La forza del fiore è la ὑπομονή, non aggressiva, ma capace di resistere e dunque più forte. Analoga è l’interpretazione della natura offerta da Capitini, secondo cui, inoltre, Leopardi non cede alla consolazione che una visione religiosa o trascendente potrebbe offrire. Anche in questo caso la resistenza attiva appare come l’unica forma di emancipazione possibile.

Nell’antitesi natura-ragione, precedentemente descritta, il secondo termine della coppia assume un duplice valore. Come illustrato nelle letture critiche degli autori citati, esiste una ragione intesa in senso assoluto, innocua, ma ad assumere rilevanza nella polemica leopardiana è la ragione storica. Questa ha permesso il progresso della civiltà, ma lo stesso Leopardi spiega come il progresso dell’intelligenza sia altro rispetto al progresso della felicità. L’uomo è stato infatti lentamente allontanato dalla condizione privilegiata originaria, posando gli occhi sul vero e precipitando in questo modo nell’infelicità. Spente le illusioni, gli uomini hanno smarrito ogni forma di eroismo, così come la possibilità di ogni slancio magnanimo. Luporini stesso mostra come le conseguenze dell’eccesso di ragione risiedano proprio nell’egoismo e nel disprezzo tra gli uomini. Da questo quadro deriva l’atteggiamento reazionario da parte del poeta, che titanicamente si erge contro il fato crudele come unica speranza in un’epoca dominata da viltà. La disillusione impedisce un ritorno alla visione fanciullesca o appartenente ai popoli antichi, la ragione può solo fingere ignoranza, provocando la nascita della superstizione, uno dei nemici identificati da Leopardi. Allontanati dalla natura, i moderni hanno perduto la capacità immaginosa che rendeva grandi i poeti antichi come Omero. Ciò che resta è la possibilità di una poesia rassegnata e puramente filosofica. Secondo il poeta esiste una ragione positiva e costitutiva dell’uomo, che secondo un sottile equilibrio permette uno sviluppo positivo. Spiega Luporini, infatti, come ad essere condannata sia la ragione “generatrice di lumi”, la quale concede un momento positivo, per poi causare il ritorno alla barbarie. Binni considera la ragione come un mezzo essenziale alla lotta contro le illusioni imposte dalla società. La realtà in questo modo può essere riconosciuta senza maschere e l’esistenza essere vissuta con lucidità spoglia di speranze per un futuro migliore.

In questo risiede la risorsa della ragione, capace di emancipare gli uomini da quella fede verso l’inarrestabile progresso. Luporini ritiene che Leopardi non si opponga in alcun modo alla concezione di progresso. L’uomo è innanzitutto un essere storico. Come dimostrato dal filosofo Marx, non esiste l’uomo in generale, ma solo l’uomo come prodotto della storia. Ogni discorso sull’uomo si esaurisce inevitabilmente in un discorso sulla storia e sulla società di cui è figlio. Ugualmente il poeta coglie il dinamismo della realtà, ma fornisce un’idea innovativa di progresso. Leopardi respinge l’esaltazione di un presente che procede verso la libertà. Non esiste alcun futuro radioso che attende l’uomo. La società, al contrario, è nuovamente schiava. Da qui sorge la rabbia del poeta, secondo cui la nobiltà non consiste nel proclamare il ruolo privilegiato dell’uomo nell’universo o il destino di felicità che lo attende. La nobiltà d’animo risiede nella capacità di posare gli occhi sulla tragica ed effimera natura umana. È questa l’occasione di progresso per l’umanità. Ora gli uomini possono riconoscersi come fratelli, sentirsi parte di un’umana compagnia. In futuro si fuggirà ogni forma di conflitto, poiché solo la “social catena” che lega gli uomini permette la resistenza contro la natura matrigna. Solo tendendo a questo ideale il fondamento della giustizia sarà solido e ben distante da quello illusorio esistente. Nemmeno la divinità, priva di desiderio e non manchevole, potrà comprendere questo senso di fratellanza. In questa fase della poetica leopardiana si assiste ad un’apertura modellata sul moderno internazionalismo, segnando la nascita di una visione di un secolo di uomini interamente umani. Binni concentra la propria analisi sulla retorica che circonda il discorso sul progresso, inteso come strumento per occultare la verità e per perpetuare un sistema illusorio. La ginestra, dunque, viene citata come proiezione dell’ideale nobiltà e dignità umana. Allo stesso modo Capitini esorta ad afferrare una visione concreta della vita e ad abbandonare la speranza di una società perfetta.

Leopardi si inserisce nel dibattito politico, interrogandosi sul tema delle forme di governo in un’indagine volta ad individuare il modo di attingere al bene comune. Questo appare come un tema ricorrente nella letteratura, con testimonianze anche nel mondo classico, come Erodoto. Ogni forma di governo si manifesta nella propria forza così come nei limiti. Secondo il poeta l’ideale cui tendere platonicamente parlando coincide con il binomio libertà-uguaglianza, il quale può essere perseguito solo in un sistema repubblicano. La democrazia è il luogo dove la virtù può trovare la propria espressione, ma anche dove può andare incontro a degenerazione. Per questo motivo spesso ci si chiede se una democrazia corrotta sia effettivamente migliore di una ‘’tirannia buona’’, domanda a cui il presidente Sandro Pertini dà una risposta ben precisa. La debolezza della democrazia risiede nell’instabilità che ne causa la veloce corruzione, portando alla nascita di una diffusa disillusione capace di sfociare in quell’individualismo ed egoismo. Lì, nella ricerca del bene personale, non può la società esistere né la virtù coesistere con l’utile. Il modello della società civile, come mostrato da Luporini, risiede nell’esempio dello stato greco e romano. In Binni, la critica alla società e al progresso lascia ipotizzare un desiderio di cambiamento, la nascita di un nuovo ordine sociale, anche se non espresso chiaramente in termini di democrazia. Una visione di questo tipo, può essere dedotta anche in Capitini.

Spesso si sente parlare di un Leopardi pessimista, viene allora spontaneo domandarsi quale sia nel poeta l’idea di felicità, se presente. La sua concezione è legata ad una riflessione profonda sulla condizione umana, intrinsecamente segnata dal dolore e dall’insoddisfazione. La felicità è legata alla disillusione umana, al contrasto tra l’aspirazione umana e la realtà in cui vive. Il poeta rievoca il suo desiderio di felicità infantile, constatandone l’impossibilità nella vita adulta. Mosso anche dalle proprie influenze filosofiche. Leopardi delinea la felicità come qualcosa di irraggiungibile. Un sogno che viene incessantemente seguito senza poter essere mai raggiunto veramente. Luporini nella propria interpretazione parla di un rovesciamento della visione Cristiana, dove l’infelicità non rappresenta l’espiazione di un peccato originario, bensì parte determinante dell’essenza umana. Il vitalismo, discusso inizialmente con il concetto di natura, rappresenta l’unica soluzione possibile. Questo, tuttavia, dovrà necessariamente scontrarsi con la negatività del presente, ricordando all’uomo come il percorso verso la felicità sia tortuoso e ancora oggi sconosciuto. L’impegno poetico e filosofico deve tuttavia essere portato avanti. La felicità non deve nascere da un ideale trascendente, ma dalla lotta etica. Ancora una volta l’attitudine di resistenza della ginestra si propone come il modello. Non bisogna tuttavia limitarsi a parlare di Leopardi come pessimista, una definizione che potrebbe erroneamente trasformarsi in una gabbia interpretativa. Il poeta sente come il proprio dono poetico lo abbia condotto ad una consapevolezza e un’infelicità precoce, ma proprio nelle opere giunte a noi oggi il Recanatese sembra evadere da questa maledizione. L’esclusione dalla vita lo rende uno dei più grandi cantori della fanciullezza e della felicità.

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