recensione a cura di Sharon Mercuri, III C
“Ricordatemi come il santo patrono dei Mediocri”. Antonio Salieri è un italiano ed è un compositore, uno dei migliori del suo tempo. Copre impieghi di rilievo, gode della stima dei suoi contemporanei e di una fama non indifferente. Antonio Salieri è un virtuoso ed è, allo stesso tempo, un mediocre, tanto che la sua personalità, all’interno del contesto scenico, si contrappone in modo eccezionalmente calzante con la figura del giovane, ed eccentrico, musicista Wolfgang Amadeus Mozart. Un fitto intersecarsi di genio e mediocrità che corrode gli animi e le menti, i cuori ed il talento dei due artisti tanto da convogliare Salieri verso un tentativo disperato: Distruggere la vita, e la reputazione, di Amadeus.
I personaggi si impregnano di un realismo magico quasi affascinante e l’estrema abilità degli attori non fa che rafforzare l’atmosfera surreale di cui l’opera si costituisce. La loro pienezza nel confluire nell’ambiente scenico impernia la storia in una terra di mezzo tra teatro e spettatore, la quarta parete viene spesso lacerata e la storia tocca con mano propria il pubblico in platea. Non è l’attore a parlare. Non è il regista. I personaggi prendono vita e offrono, all’occhio inquisitore del pubblico, un’umanità commovente, difficilmente biasimabile in cui la malvagità diventa disperazione e il genio viene visto come flagello di Dio.
Peter Shaffer, nel capolavoro teatrale che è l’Amadeus, porta i suoi personaggi a spingersi al limite, li costringe in un crescendo sempre più lampante di angosciosa solitudine e l’opera, forte anche della navigata abilità del regista Andrei Konchalovsky, assume i connotati di un’opera prima pregnante di estro creativo e dell’eccentricità di un’interpretazione spontanea, per la quale Konchalovsky dirige personaggi frizzanti, forti di uno spessore drammatico tale da guarnire il dramma di un’irriverenza pacata che rende la tragedia godibilissima sotto tutti i punti di vista. Un’opera sublime per una storia toccante e profonda.