La Shoah occupa una delle pagine più drammatiche della nostra storia: milioni furono le persone deportate nei campi di concentramento dove, considerate alla stregua delle bestie, furono trattate brutalmente e uccise nelle camere a gas; milioni di famiglie si trovarono divise, smembrate e milioni di vite furono crudelmente troncate.

Le vittime di tale tragedia videro improvvisamente mutare la loro vita senza poter fare nulla per evitarlo, protagonisti impotenti di opporsi a tanta crudeltà: ma come era la loro vita prima? In che modo alcuni sono riuscirono a sopravvivere? Come ha incise tale esperienza sul resto della loro vita? Ed in che modo reagì la società e il mondo al sentire per la prima volta il racconto di coloro che sperimentarono l’inferno dei campi di concentramento, sopravvivendo? La risposta a queste domande la si può, in parte, trovare nella testimonianza scritta di Sami Modiano Per questo ho vissuto, all’interno della quale emerge come la vita di chi è scampato all’orrore dell’Olocausto è stata per sempre condizionata da questa esperienza e si porterà per sempre nell’animo la ferita degli orrori a cui è stato costretto ad assistere.

Sami, diminutivo di Samuel, nacque a Rodi, isola greca dell’ Egeo nel 1930, in una famiglia ebraica di origini Veneziane. La sua infanzia venne stroncata, a soli tredici anni, dalla deportazione dell’intera comunità Ebraica dell’isola ad Auschwitz. La drammatica descrizione che fece del campo di concentramento mise in evidenza le estreme condizioni in cui erano costretti a vivere, la crudeltà a cui erano sottoposti, considerati alla stregua di animali in un luogo in cui non vi era più spazio per nessun sentimento se non quello dell’egoismo.

Sopravvissuto, ormai solo al mondo, dopo aver trascorso un breve periodo a Roma, dove ricevette cure mediche ed assistenza, decise di iniziare una nuova vita nel Congo Belga. Da là dopo essersi sposato ed aver messo su fortuna fu costretto a scappare, privato nuovamente  di tutti i suoi beni, a seguito dell’instaurazione di un regime dittatoriale sanguinario e intollerante, frutto del brutale e genocida colonialismo belga. Ritornò, quindi a Roma, dove ancora oggi vive.

La descrizione della sua infanzia che si contrappone a quella della sua vita dopo l’emendamento delle leggi razziali e, ancora più, alla sua esperienza nel lager di Auschwitz, evidenzia come da un giorno ad un altro le sue abitudini dovettero mutare, facendo sì che si creasse un “prima” ed un “dopo”. Sami, inoltre, nel suo racconto sottolinea più volte il fatto che, una delle conseguenze più grandi della deportazione della comunità ebraica rodiese, di cui faceva parte, è stata la quasi totale scomparsa di questa dall’isola e laperdita di quel senso di familiarità e appartenenza che prima dominava i rapporti tra la minoranza ebraica e le varie popolazioni dell’isola.

È, tuttavia, sconvolgente e toccante, notare, leggendo questa testimonianza, che, nonostante quello che abbia vissuto, nonostante il male che ha subito, non traspare né odio né rabbia né tantomeno desiderio di vendetta da parte di Sami Modiano. Si evince, invece, un senso di serenità, che sembra derivi dall’aver trovato risposta alla domanda “perché sono vissuto?”. Insieme alla sua storia, il dolore celato che emerge, insieme alla consapevolezza che solamente attraverso la conoscenza si potrà evitare che accada nuovamente  un simile orrore, rendono questo libro veramente molto interessante: un libro che vale la pena leggere.

Monica De Filippis

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