di Giacomo Voccia

Questa eccezionale situazione d’emergenza, assolutamente non comune e sconosciuta al nostro ordinario modo di vivere, ci pone interrogativi importanti che necessitano risposte urgenti. Il centrale aspetto politico deriva inevitabilmente dal sostrato sociale, che versa ora in gravi difficoltà a causa dello squilibrio dell’ordine. Sono molte le reazioni osservabili riguardo la presenza del virus in sé, ed ancora di più quelle riguardo le misure restrittive poste in essere dal governo italiano.

Non bisogna soffermarsi superficialmente sull’insieme delle politiche attuate, poiché esse, in realtà, mettono in luce problematicità intrinseche all’apparato statale: il Coronavirus, con tutti i suoi sconvolgimenti, induce a riflettere sulla natura dello Stato e sulle restrizioni della libertà imposte. Nella vita di tutti i giorni non siamo soliti ricordare che alla base della vita associata vi è, difatti, una rinuncia di una parte della propria libertà in favore della collettività: è proprio quando l’organizzazione statale agisce su quelle libertà e impone un maggior controllo sulle vite di ciascuno, come è accaduto anche durante le fasi più critiche della lotta al terrorismo internazionale, che ci balza subito agli occhi la sua effettiva potenza.

È importante stabilire e monitorare i limiti entro i quali si muovono le azioni del governo: anche quando si è disposti a cedere le proprie libertà e seguire le direttive (e appare evidente dalle cronache dei giornali come molti non siano pienamente d’accordo con esse), bisogna chiedersi se sia giusto che lo Stato detenga un simile potere, per sviluppare non solo una coscienza critica attiva, ma anche la consapevolezza della totalità del sistema. In un’epoca terribilmente superficiale e che pare incapace di produrre analisi profonde, di indagare se stessa, priva di ogni introspezione, è più che mai necessario ricercare ed analizzare i principi in base ai quali hanno operato i recenti governi, riscoprendo e rafforzando quelli espressi nella Carta Costituzionale.

Ci si presenta, dunque, un cruciale punto di svolta: la vox populi inveisce contro l’inefficienza degli organi statali, appesantite dalla burocrazia, ma al tempo stesso si è perso da molto il valore delle cariche istituzionali pubbliche. Assistiamo da anni a fenomeni persistenti di personalismo politico, per il quale non conta la carica in questione, ma la persona che si trova ad occuparla: è la sconfitta ultima dei principi repubblicani. La pandemia si aggiunge alla fragilità della struttura statale, e non vi è spazio, ora più che mai, per tendenze autoritarie distruttive. La recente acquisizione da parte del Primo Ministro ungherese Viktor Orbán dei “pieni poteri” rappresenta una gravissima ferita per le democrazie europee ed un monito da non ignorare: è impensabile assistere alla perdita della libertà di parola, di stampa e di pensiero, incapaci di esprimere qualunque opinione e di essere rappresentati in Parlamento. In conclusione, è auspicabile, e forse anche necessario, che questo momento di crisi diventi un momento di ripartenza, di rinnovata fiducia nelle istituzioni, sia a livello nazionale che a livello europeo.

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