Il 4 maggio è stato il primo giorno di ritorno ad una forma di normalità, seppur chiaramente limitata. La normalità che tutti noi per la durata di questa quarantena abbiamo rimpianto e agognato. Il richiamo della libertà è un impulso troppo forte. Se durante la quarantena erano stati gli animali a impossessarsi di nuovo di quei luoghi da noi abusivamente occupati, oggi gli uomini, per la prima volta in due mesi, sono usciti e, come cervi che camminano spaesati per le strade cittadine, hanno vagato per città di cemento che avevano la verginità di un bosco inesplorato. L’uomo, troppe volte è stato detto, è un animale sociale. La socialità si esprime in tantissime forme diverse: la visita ad un amico non è la sola prova di socialità, ma anche qualsiasi attività commerciale è frutto di questa necessità di scambio insita nell’uomo. Lo scambio si manifesta in parole ma anche in denaro: esso è altresì una forma di linguaggio universale, capace di mettere in comunicazione gli individui. Dunque, e non solo per questo motivo, la riapertura economica ha anche un importantissimo valore sociale.

Tuttavia, non vanno sottovalutati i pericoli di questa riapertura, a detta di molti precoce e disorganizzata. Nonostante il calo nel numero dei contagi, il virus non può dirsi assolutamente sconfitto. Durante la Fase 1 era stato il governo ad imporre misure rigorose e stringenti: la situazione era troppo grave ed era assolutamente necessario impedire in ogni modo il diffondersi del virus. Oggi la responsabilità ricade sui cittadini. Occorre ora agire con attenzione, utilizzando tutte le precauzioni possibili. Ciò significa assumere dei comportamenti rispettosi nei confronti di noi stessi, degli altri e dei troppi morti che l’Italia ha dovuto piangere in questi mesi.

In questo frangente la presenza di uno Stato che faccia valere le proprie promesse è essenziale. Molti cittadini – impiegati, piccoli imprenditori, partite IVA – sono usciti dalla quarantena in una situazione disperata, e la disperazione è sorella della rabbia e del livore. L’Italia è già un paese diviso. Abbiamo politici che soffiano sul fuoco dell’odio, alimentandolo con la possibilità di provocare incendi più grandi di quanto possano immaginare. Oggi, nonostante gli innumerevoli richiami ad una responsabilità istituzionale in questa fase critica per il paese, pare che la classe politica sia più impegnata in annunci da campagna elettorale. In un momento in cui ci si aspetterebbe solidarietà e collaborazione anche da parte dell’opposizione, siamo costretti ad assistere a polemiche e divisioni persino all’interno della maggioranza. Ma anche ciò purtroppo è prova di un lento e inesorabile ritorno alla normalità.

La fine della quarantena ha inevitabilmente portato con sé tutta l’estenuante retorica per cui “ne usciremo migliori”. Aveva, forse, visto giusto lo scrittore francese Michel Houellebecq: “Non ci sveglieremo, dopo il confinamento, in un nuovo mondo; sarà lo stesso, un po’ peggiore”?

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