di Angelica Foderaro

Il lockdown causato dalla pandemia di Coronavirus ha provocato una trasformazione della società dove eravamo vissuti fino a pochi mesi prima: in meglio, poiché la rivoluzione digitale indotta è avvenuta più repentinamente del previsto; in peggio, perché ha cambiato il nostro modo di vivere senza che lo volessimo liberamente.

In un isolamento forzato dentro le nostre abitazioni, per evitare la diffusione del contagio, siamo stati costretti a sviluppare delle nuove abitudini legate per lo più al digitale, abitudini in cui sono risultate fondamentali la capacità di usare il computer e di navigare in internet. Un enorme cambiamento per tutti, ma in particolare per gli studenti.

I nati dopo il 2000 vengono chiamati “nativi digitali”, ciononostante nessuno prima del lock-down aveva mai usato il computer per svolgere compiti, interrogazioni e lezioni perché, di fatto, l’utilizzo di internet e della tecnologia digitale da parte delle nuove generazioni aveva come unico scopo, sino a quel momento, di dilettarsi attraverso i social, e praticamente nessuna formativa.

La società si stava già avviando da molto tempo verso il processo di digitalizzazione, fondamentale per il futuro sia in ambito lavorativo che privato, attraverso l’e-commerce, lo smartworking e le videoconferenze, ma con l’improvvisa comparsa del coronavirus questo processo è stato accelerato in modo repentino ed inevitabile: è stato indispensabile mantenere alta la produttività della popolazione anche in una situazione di emergenza, poiché se si fossero fermate tutte le attività le conseguenze economiche sarebbero state disastrose.

Possiamo dire, quindi, di vivere attualmente nel cosiddetto “Rinascimento digitale”, un’epoca in cui cambia e si evolve la concezione del rapporto fra l’uomo e la tecnologia.

Quest’ultima, infatti, sta diventando lo strumento più efficace e rapido per accedere alla conoscenza, con la conseguenza che, così come si è evoluto il mezzo per apprendere le nozioni, così deve evolversi la formazione scolastica.

Ormai non bastano più sommarie nozioni su come si usa un computer, ma serve una conoscenza approfondita, soprattutto dei programmi utilizzati nel mondo del lavoro, come quelli che vengono utilizzati per condividere i files e per comunicare o per inviare comunicazioni e documenti importanti, come ad esempio la PEC (posta elettronica certificata) che equivale ad una raccomandata.

Il digitale condiziona ormai la vita delle persone e del nostro Paese, e senza di esso durante il lock-down non avremmo potuto svolgere buona parte delle attività prima effettuate; rimanere indietro nello sviluppo tecnologico renderebbe l’Italia, con il passare degli anni, meno produttiva e meno competitiva delle altre società. Ciò non di meno, con l’avanzare dell’informatizzazione la tecnologia entra in contrasto con lo sviluppo dei rapporti sociali, essenziali per ognuno di noi.

Questi mesi trascorsi a casa ci hanno allontanato dall’intrattenere delle relazioni vere e profonde e ci hanno portato a basare i fondamenti di un’amicizia sull’apparenza e sull’assenza di contenuti, su quante volte al giorno ci invia un messaggio una persona, su quante delle nostre Instagram stories visualizza ed a quante risponde, confondendo la popolarità virtuale con la vita reale.

Tutto questo ha comportato una visione della realtà distorta ed idealizzata ed occorre perciò predisporre un percorso formativo digitale ed al tempo stesso modificare l’impostazione della comunicazione virtuale e dei rapporti sociali, per arrivare ad un vero e proprio “Rinascimento” digitale.

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