di Camilla Miroballo, II F

Si tratta senza dubbio dell’opera più nota di Hesse, un breve romanzo ambientato in India, apparentemente senza tempo, in grado di proiettare il lettore all’interno degli aspetti più celati di sé stesso. Un saggio sottile e delicato, capace di trasmettere, attraverso la formula romanzesca, un insegnamento sulla vita raro da incontrare altrove.

Siddharta è l’uomo della ricerca, emblema del dubbio e della sete di sapere, dominato dalla propria smania di conoscenza,  si trova ad affrontare ogni sorta di prova, vivendo le esperienze più disparate, morendo e rinascendo ogni volta mutato eppure sempre uguale. Spaziando dal misticismo alla sensualità, dalla meditazione filosofica alla vita da mercante, il giovane indiano vive la propria esistenza alla ricerca della pace, della verità, dell’unità, senza prendere mai nessun maestro come punto di riferimento fisso, senza considerare definitiva nessuna dottrina, nell’affannosa ricerca del Tutto vestito di mille cangianti volti. Inizialmente può sembrare che si tratti di un’unica rinascita, posta al termine della prima parte del saggio, solo più tardi, proseguendo nella lettura, si comprende il senso più profondo del messaggio che l’autore vuole comunicare.

In un primo momento della sua gioventù Siddharta appare intento ad annullare il proprio Io, pretendendo di non ascoltare più pensieri, desideri e bisogni che la mente impone. Attraverso la spersonalizzazione impara a digiunare, aspettare e pensare; tre abilità che si dimostreranno di fondamentale importanza e che sembrano dividere il protagonista dal resto dell’umanità che lo circonda. Ad aprire la seconda parte del romanzo è l’incontro rivelatore di Gotama, il Buddha, che segnerà profondamente il corso degli eventi. È grazie ad un colloquio con il Perfetto che il protagonista sentirà il bisogno di dare spazio a tutti i sentimenti che fino a quel momento aveva lasciato si assopissero fino a spegnersi.

Comincia, dunque, un viaggio attraverso i sensi che lo porterà a scoprire il piacere degli amanti, il gusto del gioco, l’ebrezza del vino e il brivido del denaro. Avvertendo un certo distacco nei confronti degli uomini- bambini, però, colui che un tempo fu Samana, non riesce a comprenderli a pieno, non può legarsi a nessuno e gli riesce impossibile amare. La sua anima non è completa, ma corrotta e ormai distante dalla pura essenza. Questo porta ad una morte dell’Io e ad una conseguente, nuova rinascita. A seguito di un lungo peregrinare, giunge presso le rive del fiume che già una volta lo aveva guidato verso il proprio cammino e che sembra volerlo nuovamente indirizzare; di grande valenza saranno, infatti, gli insegnamenti del barcaiolo Vasudeva, uomo saggio e contraddistinto dall’imperturbabile calma interiore.

Ancora una volta Siddharta riscopre sé stesso, apprendendo dal fiume tutto ciò che esso comunica e solo al termine di un tortuoso percorso nel dolore del vuoto e della sofferenza nel cuore, potrà dirsi rasserenato, raggiungendo la pace. Uomo della rinascita per antonomasia, l’indiano del racconto rappresenta ognuno di noi, impegnato nella frenetica ricerca di sé stesso e nella presa di coscienza dei propri sensi. Una storia di luci ed ombre, dolori e scoperte, esemplificativa del fatto che solo a seguito di una profonda crisi si avrà la tanto agognata rinascita.

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