di Cecilia Andreozzi, II F
«Credo che avere la terra e non rovinarla sia la più bella forma d’arte che si possa desiderare». Così ci diceva Andy Warhol, eppure nonostante da tempo sia chiaro alla stragrande maggioranza della popolazione mondiale che i problemi ambientali siano problematiche degne di preoccupazione, ci sembra impossibile scegliere di proteggere il pianeta che ci ospita cambiando anche solo alcune delle nostre abitudini del nostro stile di vita o anche solo rinunciare a pochi dei tantissimi oggetti che produciamo e acquistiamo e di cui crediamo di avere assoluta necessità . Lo sfruttiamo e lo maltrattiamo, lo comprimiamo in base alle nostre esigenze ed interessi, ma non importa in che secolo ci si trovi, quanto la tecnologia si possa sviluppare e nemmeno quanto la nostra economia sia forte; sarà sempre lui ad ospitarci e non possiamo pretendere di esserne padroni, perché lui troverà sempre il modo di ribellarsi. Forse è proprio questa una delle lezioni più importanti che ci ha insegnato l’anno appena trascorso. Basti pensare che secondo le statistiche presentate da Google la parola più cercata del 2020 è stata, come d’altronde non è difficile immaginare, Coronavirus. La natura ci pone di fronte ad un ostacolo molto più grande di noi e davanti ad esso non possiamo far altro se non paralizzarci. Tutto ciò che prima ci sembrava importante, degno del nostro tempo, attenzione, curiosità e conseguente ricerca, smette di essere poi così rilevante e se prima ci sembrava impossibile rinunciare anche solo ad un piccolo gesto per comodità o pigrizia o disattenzione, da un anno a questa parte proprio quella natura, di cui non ci curiamo come meriterebbe, ci priva di gran parte delle nostre abitudini attraverso una piccolissima entità biologica e noi davanti ad essa non possiamo far altro se non subirne le conseguenze .
Sette grandi istituzioni, tra cui la NASA, hanno utilizzato le immagini satellitari per misurare i cambiamenti durante la pandemia riguardo la quantità e la qualità dell’aria, delle acque e dei manti nevosi. Il risultato delle ricerche ha condotto gli scienziati alla consapevolezza che in poche settimane si siano verificati mutamenti sostanziali.
I cambiamenti rilevati si sono manifestati , infatti, in intervalli addirittura minori rispetto a quanto ci si aspettasse. La natura in pochissimo tempo, proprio quando noi le abbiamo lasciato spazio, rallentando le nostre vite, ha recuperato tutto quello stesso spazio che le avevamo sottratto e come spesso accade è stata molto più veloce di noi. Le immagini satellitari del progetto Earth Data Covid-19, condotto dalla Nasa stessa, dimostrano che siano state necessarie solo poche settimane di lockdown affinché l’inquinamento atmosferico diminuisse di ben un terzo e la qualità dell’aria migliorasse di oltre il 40 per cento. Secondo il ricercatore iraniano Nima Pahlevan, nella città di New York la riduzione del traffico lungo il fiume Hudson ha permesso alle acque di tornare trasparenti e secondo una ricerca del CNR sarebbe accaduto lo stesso a Venezia, dove sono stati limitati la pesca dei molluschi sui bassi fondali e il passaggio delle navi commerciali.
“Abbiamo bisogno di ulteriori ricerche per attribuire chiaramente il cambiamento ambientale all’emergenza Covid”, ha affermato Timothy Newman coordinatore del programma nazionale di osservazione terrestre per il Servizio geologico degli Stati Uniti (Usgs). Eppure, appare piuttosto difficile negare una chiara connessione tra i due eventi.