di Giacomo Voccia
Primo romanzo della scrittrice Madeline Miller, La canzone di Achille trova la sua ambientazione nel mondo greco nell’età immediatamente precedente alla guerra di Troia, popolato di figure che rimarranno impresse per sempre nel mito e mormorii eccitati al ricordare eroi leggendari delle generazioni precedenti. La narrazione è affidata a Patroclo: egli racconta in prima persona le sue vicende e l’intrecciarsi di queste con la vita del Pelide, conferendo alle pagine dedicate all’infanzia un punto di vista distorto dalla tenera età, dove tutto sembra sovrastarlo, più grande di lui, e a quelle della maturità una toccante introspezione psicologica volta a delineare i sentimenti che agitano l’animo. Il lirismo descrittivo non arriva mai all’eccesso, e ciascuna sequenza narrativa affresca con rapide pennellate il carattere dei personaggi attraverso gli sguardi, i respiri, le posizioni dei corpi, il tono delle parole pronunciate; strettamente intrecciata all’evolversi della storia è l’aprica natura circostante: gradualmente l’ombra che gli alberi offrono dal sole mediterraneo, le montagne e le foreste, i momenti ludici trascorsi e l’educazione del centauro Chirone si sovrappongono alla spensieratezza della gioventù, quando ad essa si sostituisce la vita da campo, i dieci anni di guerra, l’alternarsi delle battaglie apparentemente senza fine, le morti quotidiane, il corso inarrestabile del Fato.
Il mare è una presenza costante, che abbraccia tutti i sensi e veicola sensazioni ora piacevoli ed ora soffocanti, la cui personificazione terrificante agli occhi di Patroclo viene delineata in Teti, madre di Achille. Il loro rapporto è spesso teso e conflittuale, sebbene guidato da un profondo amore materno: è guastato dal desiderio di rendere il figlio un dio, di proteggerlo dalle inevitabili profezie, la cui interezza viene raggiunta un tassello alla volta, dal disprezzo per i mortali e per la relazione con Patroclo. Se rabbia è la prima parola del poema omerico, per lo stesso canone classico amore dovrebbe essere quella del romanzo. La diversità nella trattazione della materia mitica risiede nella lente attraverso la quale viene vista: il filtro psicologico, relazionale, amoroso dà nuova forma alle vicende iliadiche, consentendo alla vastità di emozioni implicita in esse di manifestarsi pienamente, attraversare il tempo e colpire con forza rinnovata la sensibilità del lettore moderno.
Identica la fierezza di Achille nel rifiuto categorico di imbracciare le armi senza le scuse di Agamennone e la restituzione del bottino, la noncuranza della strage subita dall’esercito acheo, nella cieca speranza che la sua gloria e la sua reputazione possano essere alimentate proprio dalla sua assenza. A salvare la ragione della caduca vita del Pelide è invece Patroclo, la cui decisione è dettata tanto dal dovere morale di impedire la disfatta dei soldati greci, ciascuno dei quali conosciuto da lui come singolo individuo e non come parte anonima del meccanismo della guerra, quanto dall’amore nei confronti di Achille, essendo disposto a mettere a rischio la sua vita per difendere il suo onore quando l’altro è chiuso nelle proprie convinzioni, perso nell’ossessione di essere ricordato. Lo struggente finale porta a compimento lo sviluppo e della storia d’amore e della caratterizzazione dei personaggi, in un vortice di emozioni e considerazioni.