di Leonardo Bechini
Fabio Rondanini è un polistrumentista, compositore e arrangiatore italiano, noto principalmente per essere batterista nei Calibro 35 e negli Afterhours e per aver preso parte alle edizioni 2020 e 2021 del festival di Sanremo.
Ciao Fabio, grazie per avermi concesso quest’intervista.
Grazie a te.
Com’è nata la passione per la musica?
La passione per la musica è nata da bambino. A casa mia si sentivano spesso dischi di vario genere musicale, grazie a mio padre che era un grande appassionato. Ascoltando tanta musica, io e mio fratello abbiamo iniziato a suonare la chitarra e poi io sono passato alla batteria. In realtà però il mio primo approccio con la musica è stato con il ballo, anche se al tempo me ne vergognavo, che per me era una vera espressione di libertà.
Quali sono le tue preferenze musicali giovanili e come si sono evoluti i tuoi gusti in fatto di musica?
I miei gusti musicali sono cambiati con gli anni anche se ho sempre ascoltato di tutto. Da piccolissimo amavo cantanti come Madonna o Michael Jackson per poi diventare subito dopo un “metallaro” con i Metallica, Megadeth e Nirvana, cercando di riprodurre tutto quello che ascoltavo. Poi in età adolescenziale ho iniziato ad ascoltare ed appassionarmi al jazz, così come alla black music, che è un genere che mi è sempre piaciuto. Adesso cerco sempre di ascoltare vari generi anche molto dissimili tra loro.
Quand’è che hai capito di aver avuto successo?
In realtà da pochi mesi, anche se non se ho veramente questa sensazione (ride, ndr). Il mio lavoro ti fa stare sempre appeso ad un filo ed è il compromesso per sentirti libero e poter fare quello che ti piace. Il successo non è permanente e non si può mai dire di aver “sfondato”. Nel mio caso ho capito tardi che la musica sarebbe stato il mio lavoro, verso i trent’anni, anche se già a quattordici, quindici anni ero cosciente con i miei amici che ce l’avremmo fatta, sebbene non avessi particolari talenti e grandi possibilità. Detto questo, non mi sento arrivato, perché nella musica e anche nella vita non esistono vere e proprie svolte e bisogna solo lavorare sodo facendo quello che ci piace.
Parlami un po’ delle tue esperienze a Sanremo.
La prima volta che sono andato a Sanremo, ho suonato sul palco con Silvestri e Rancore ed è stato molto emozionante, anche perché l’Ariston è uno dei palchi più caldi dove mi sono esibito. Nonostante sottovalutassi la performance, quando mi sono ritrovato effettivamente sul palco ero quasi terrorizzato, ma alla fine è stata un’esperienza gratificante, che mi ha dato molto. La seconda avevo un ruolo molto diverso dalla prima, infatti ero ospite di Max Gazzè, di cui avevo recentemente aiutato a produrre l’ultimo disco, che mi aveva chiamato per la serata delle cover. Prima di parteciparvi quasi odiavo e snobbavo Sanremo, invece dopo esserci andato ho imparato ad apprezzarlo.
Cosa ne pensi della nuova scena musicale e di generi che stanno prendendo molto spazio come il rap o la trap?
Questi generi mi piacciono molto e ascolto diversi artisti. Ovviamente non posso immedesimarmi nei loro testi, avendo io quarantacinque anni, ma probabilmente non mi ci sarei ritrovato neanche se ne avessi avuti sedici. Non avendo mai smesso di sentire musica con il cambio generazionale sono arrivato anche alla trap e spesso mi capita di lavorare con tanti artisti italiani che girano in quell’ambito. Recentemente, per esempio, ho partecipato alla produzione del disco di Mace, lavorando con Gemitaiz, Izi, Frah Quintale e ho anche collaborato con Achille Lauro.