di Andrea Granato
Ricordo di un ragazzo di quinta ginnasio che, circa un mese fa, durante una manifestazione organizzata dalla nostra scuola davanti al MIUR, prese in mano il megafono e urlò che lui era venuto lì a protestare perchè non voleva vivere una vita come quella dei suoi genitori, fatta solo di “lavoro e spesa”.
Voglio cominciare da queste parole, estreme e inquietanti, che mi colpirono molto. E voglio iniziare col dirti, chiunque tu sia, che hai proprio ragione: noi giovani cerchiamo di vivere la vita che i nostri genitori non hanno visssuto. Ma non facciamoci illusioni , cari ragazzi, sappiamo benissimo che per vivere una vita più piena, intensa e autentica non basta schiamazzare in piazza o occupare qualche liceo. Sì, questa è la prima cosa che voglio ricordarmi e ricordarvi: il disagio che esprimiamo con queste ondate di occupazioni – e quello che dice questo ragazzo ce ne dà conferma – è molto più vasto e profondo dei motivi particolari che lo hanno scatenato, è così grande e soverchiante che non riusciamo più a dargli un nome.
Il Dolore infatti, per sua natura, vuole dirsi, sfogarsi, esprimersi; quando questo non avviene diventa Rabbia. E’ l’incomunicabilità del Dolore che lo rende insopportabile.E io, personalmente, lo sento, amici, questo nostro Dolore, questo vuoto dei cuori, lo vedo, nei vostri volti spenti e stanchi, nelle vostre anime estenuate,compresse,represse, depresse, isolate insieme. Eppure facciamo di tutto per nasconderlo a noi e agli altri, questo malessere; ci relazioniamo con chi ci sta intorno a partire dalla rimozione di queste parti del nostro essere; ci mettiamo una maschera, facciamo finta di niente e tiriamo avanti. Perchè? Perchè abbiamo così tanta paura di guardare dentro noi stessi? Perchè abbiamo così difficoltà a creare, tra di noi, una comunicazione vera, reale, emotiva, profonda e autentica dove si soffre e si lotta insieme? Come speriamo di conquistarci la pienezza di vita che quel ragazzino auspicava se ci ostiniamo a rimanere nelle zone più superficiali del nostro essere? Perciò vi imploro amici : poniamo fine adesso!, che siamo arrivati a un punto di rottura, a questa commedia di marionette. L’insensatezza che vogliamo combattere nelle istituzioni siamo noi i primi a fomentarla con le nostre esistenzee conformiste, passive, supine, prone e distratte; con i nostri orribili e noiosissimi sabati sera; con quel nulla di senso che di notte alimentiamo nelle discoteche e poi di giorno denunciamo nelle piazze; con l’appiattimento continuo del nostro pensiero a dispute ideologiche da quattro soldi che ormai non appassionano più nessuno.
La verità è che noi desideriamo ardentemente una vita più piena, un mondo nuovo, un’alternativa concreta a questa società, ma poi non abbiamo le forze – fiische e spirituali – per rimanere fedeli fino in fondo al nostro anelito, per crederci veramente in questo grido.
Io penso che la via per uscire da questo fondo buio in cui ci troviamo sarà lunga e faticosa ma il primo passo, che dobbiamo e possiamo fare, è quello di tornare ad aggregarci intorno a un valore o a un’idea che ci trascenda e ci unisca tutti; creiamo perciò poli di relazioni nuove dove coltivare la coscienza del
cambiamento che vogliamo vedere nel mondo, apriamo spazi di dialogo, di ascolto sincero, non-giudicante, dove ognuno possa parlare senza le mille paure che ci spingono a chiuderci e isolarci. Non possiamo continuare a pretendere ascolto e comprensione dal “mondo dei grandi” se noi, per primi, non ascoltiamo noi stessi e non prendiamo sul serio quello che romba dentro le nostre anime.