di Valeria Maria Martini, II D
Le vittime di una qualsiasi guerra sono molteplici. I soldati che combattono, i civili che sono martiri di decisioni che non hanno preso e soprattutto l’ideale di libertà e autodeterminazione dei popoli.
In questi ultimi giorni al nostro libro di storia si è aggiunto un capitolo che avremmo preferito non fosse mai scritto. Alle ore 4:27 tra la notte del 23 e 24 febbraio 2022, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato una “operazione speciale per smilitarizzare l’Ucraina” dichiarando di voler “sopprimere il sistema di difesa anti aerea” ucraino con attacchi di precisione, dando inizio così ad una guerra.
Questo conflitto, sebbene annunciato, ci ha colti sicuramente impreparati e ha posto l’accento su come valori che diamo per scontati spesso non lo siano affatto. Nel giro di pochi giorni immagini frastornanti del massacro in corso, ci hanno riempito la mente e l’animo. Un senso dilaniante di impotenza verso le lacrime di figli che salutano i padri costretti al fronte; verso civili che, mentre il giorno prima insegnavano la divisione in sillabe fra i banchi di una classe, ora hanno in mano delle armi per proteggere il loro paese. Poi ancora video di bombe, missili che non bombardano obiettivi militari, ma case, edifici, scuole e ospedali.
Ma oltre a uomini, donne e bambini, c’è un’altra vittima in ogni guerra: l’eredità culturale e il patrimonio storico-artistico di un popolo. L’Ucraina è ricchissima da questo punto di vista e conta ben sette siti nella lista del patrimonio dell’UNESCO. La magnifica cattedrale di Santa Sofia a Kiev; gli edifici monastici di Kievo Pechersk; l’Arco geodetico di Struve; le faggete primordiali e le foreste secolari dei Carpazi; la residenza dei metropoliti bukovini e dalmati a Černivci, con la sua Cappella di S. Ioan cel Nou di Suceava; le chiese in legno nella regione dei Carpazi; l’antica città di Tauric Chersoneso e la sua Chora e infine il centro storico di L’viv.
Proprio da L’viv sono arrivate delle immagini sconfortanti di cittadini e Ong che cercano di prepararsi ad un possibile bombardamento russo. Leopoli (nome traslitterato in italiano della cittadina ucraina) difatti, ha una storia che risale al XIII secolo e che è estremamente rappresentativa delle complesse e travagliate vicende relative all’Ucraina occidentale: infatti la città, per secoli polacca, fu parte dell’impero asburgico, per poi tornare polacca e infine russa dopo la seconda guerra mondiale e dopo lo sterminio dei circa 100.000 ebrei che la abitavano. I polacchi furono costretti ad abbandonare la città, ripopolata da russi e ucraini. E proprio da questa straordinaria città giungono le immagini di monumenti avvolti con spugna e plastica per cercare di ripararli da possibili impatti. Purtroppo l’epilogo che potrebbe aver questa vicenda non sarebbe nuovo nella storia. Gli esempi di siti di interesse artistico danneggiati durante conflitti armati sono moltissimi. Per citarne qualcuno: la cattedrale di Notre Dame (durante la prima guerra mondiale) o il Partenone (danneggiato da un colpo di mortaio nel 1687 nella grande guerra turca).
Anche se forse notizie del genere non generano un forte impatto emotivo, è bene ricordare che non si tratta solo di pietre o vetrate colorate, ma di secoli di storia e identità di un popolo, ed è bene che tutta la comunità internazionale se ne renda conto.
Come suggerisce Sergio Romano, un diplomatico, giornalista, storico, saggista e accademico italiano: “L’opera d’arte e il patrimonio artistico sono simbolo ideologico e culturale di un popolo”. E per questo motivo vanno protetti ad ogni costo.