di Camilla Albore
La sua pennellata nervosa e violenta invade la tela di quel giallo quasi aggressivo, permeandola di una luce fulgida e lucente.
«Non c’è blu senza il giallo». Diceva, infatti, Van Gogh.
Non c’è buio senza luce, non c’è felicità senza contrasto, sembrava sussurrarci attraverso i suoi dipinti folgoranti.
Quei colori dirompenti, come il blu e il giallo, si intersecano e combattono tra di loro, trasformando il quadro in un panorama emotivo che segue l’onda dei suoi stati d’animo, traducendosi dunque in una vorticosa sequenza di pennellate dense e grumose.
I contorni sono marcati, quasi a voler trasferire definitivamente la sua emotività travolgente sulla tela e la Notte Stellata ne è il perfetto esempio.
In questo dipinto, infatti, il cielo appare turbolento, agitato e palpitante rischiarato dalla luce radiante delle stelle che si sviluppano in cerchi concentrici e che sembrano quasi vorticare smarrite nel blu profondo.
A destra, sotto la calda luce lunare, si prolunga noncurante una fila di case, minuscole in confronto alla grandiosità dello spazio cosmico.
A sinistra si innalza un cipresso alto e severo che oscilla divampando come una fiamma scura, diventando un intermediario tra terra e cielo, mentre si innalza verso l’infinità del cosmo.
Quel cielo e quei colori diventano lo specchio del tumulto che regna nella sua stessa immaginazione.
Per quanto riguarda i colori, il giallo per lui era semplicemente l’assioma della felicità. Costituiva la massima espressione del suo mondo interiore, fatto di contrasti e di lotte tra colori.
Quel colore nutriva il suo mondo e ne illuminava ogni aspetto, fino a diventare quasi un’ossessione.
Si dice infatti che arrivò al punto di ingoiare pittura gialla, convinto che in questo modo potesse cogliere il sapore della felicità.
Si dice, anche, che questa sua ossessione fosse data dalla xantopsia, che causa una percezione distorta dei colori e che porta a vedere il mondo circostante illuminato da sfumature giallastre.
Spesso, tuttavia, la figura di Van Gogh è stata stigmatizzata, imprigionandola nell’immagine di genio folle, affetto da instabilità psichica.
Dietro questa sua figura c’è, invece, molto di più: un uomo fragile che ricercava la bellezza del mondo nella semplicità.
Una semplicità fatta di girasoli luminosi, di campi di grano fruscianti al vento, di cieli punteggiati di stelle vorticose.
Ed era proprio quella sua sensibilità dilagante che non gli permetteva di essere compreso dal mondo.
La tela è diventata la rappresentazione emotiva del suo mondo interiore, rendendo in questo modo i suoi quadri affascinanti ma soprattutto travolgenti.
Guardandoli si può cogliere la sua delicatezza d’animo, il suo tormento e la sua sensibilità impetuosa.
Ma egli è riuscito, soprattutto, a creare un ponte tra quella che è la natura del mondo circostante e il mondo interiore di ognuno.
«Sogno di dipingere e poi dipingo il mio sogno» diceva, infatti, guardando intensamente le sue opere.
Chi era, dunque, Van Gogh? Era solo un uomo incompreso e un sognatore predatore di felicità.