di ALEKSANDRA BONI, MARTA RIGOTTI E BEATRICE SABA

La notte di venerdì 6 maggio presso il Giulio Cesare e altri trecento licei classici si è tenuta la “Notte nazionale del liceo classico”. Una serata di musica, danza, arte e spettacoli, una serata in cui la nostra scuola rende protagonisti i suoi studenti.

Svariati erano i progetti presentati nelle diverse aule del nostro istituto. In particolare l’aula 206 è diventata un covo di personaggi folli e dialoghi inconsueti. Infatti noi alunni del 1G abbiamo ideato una rappresentazione con una lettura recitata di alcuni dialoghi scritti da noi stessi. La professoressa Francesca Vennarucci, coordinatrice e responsabile della notte dei licei, ci ha proposto per un tema una semplice traccia: “Dialogo con la follia”. Nessuna indicazione, nessun dettaglio, nessun suggerimento. Traccia insolita, che ci ha lasciati molto spaesati e pieni di dubbi su come realizzarla.

Dopo aver letto in classe tutti i nostri dialoghi, è emerso un aspetto interessante: nel “dialogare con la follia” in realtà ognuno di noi ha parlato di sé stesso, anche inconsciamente e in modo indiretto. Insomma, la nostra follia siamo noi stessi. Abbiamo lasciato spazio alla nostra coscienza, vagando negli angoli più remoti della nostra mente, navigando tra oblio e ricordi.

Successivamente, il nostro regista Giovanni Pasqualini ha trasformato i nostri temi in scene teatrali, accostando estratti dei nostri dialoghi, seppur molto diversi tra loro e ognuno con la sua originalità. Ne è emersa una esplorazione che spazia tra i vari volti della follia, spesso connessa alla percezione dell’immagine del proprio corpo e come strumento per scandagliare le profondità della psiche umana. Un esempio dei vari volti della follia è il monologo posto all’inizio e scritto da Marta Rigotti:

Sono tanti volti.

Posso essere nell’artista dalla colorata vivacità, che la gente considera folle perché non riesce a guardare il mondo dal suo punto di vista, non lo comprende a causa della propria noiosa mortalità.

Sono nel grande genio che, come diceva Aristotele, non esiste senza una dose di follia. Sono nel ragionamento di cuore di tutti coloro che per questo vengono ritenuti pazzi, nell’irrazionalità dell’amore, che so rendere tanto profondo quanto cieco.

Sono in tutti quelli che desiderano cambiare il mondo, in tutti i piccoli che lottano contro i grandi, in chi sa invertire rotta e andare controcorrente, in chi ancora riesce a sognare.

Ma sono anche nei tanti uomini e donne di potere che antepongono logiche economiche e politiche all’interesse comune, al giusto.

Sono tra tutti quelli che non rispettano il pianeta riducendolo a luogo invivibile, che obbediscono al dio denaro a costo di perdere, pezzo dopo pezzo, l’essenza della propria vita.

Sono tra chi si illude di poter vivere in pace in un mondo dove esiste la guerra;

Sono in quelli che considerano le donne oggetto e le privano di qualsiasi libertà, fino a rinchiuderne il corpo, il cuore, la mente in una prigione di stoffa.

Sono tra coloro che guardano al futuro senza comprendere il presente, o che vivono il presente pensando che non ci sia un futuro.

In coloro che non imparano mai la lezione della vita.

Come esempio di dialogo con la follia intesa come immagine riflessa del proprio corpo riportiamo un passo del dialogo scritto da Aleksandra Boni:

Mia: Conosco il mio fisico, la mia statura, ma sono nata così, cosa potrei fare per cambiare?

Follia: Qui non si parla solo della tua persona all’esterno, ma anche all’interno. Ti domandi mai perché non hai amici? Ti domandi mai perché passi le tue ricreazioni a scuola chiusa in bagno per paura che le persone ti possano vedere mangiare? Ti domandi mai perché ogni giorno non bevi nemmeno un sorso d’acqua per chissà quale motivo, non togliendo mai la mascherina e non rivelando il tuo aspetto? Oh si, ma lo sai benissimo: ti vergogni di te stessa. Ti vergogni della persona che sei e che diventerai se continui a ingozzarti, a passare i pomeriggi chiusa in casa a guardare lo schermo del tuo telefono,a dormire non appena metti piede in casa, in sostanza a non fare nulla di produttivo né per te né per gli altri.

Mia: Sono davvero questo, sono davvero quella persona che ho sempre odiato? Per tutta la mia vita ho sempre pensato di non essere abbastanza per niente e nessuno, e forse l’ho celato anche a me stessa, per la paura di sapere che questa è la verità, che io sono cosi. E adesso, mi guardo intorno e vedo finalmente con occhi aperti. La gente mi giudica, dice che non sto bene, che sono brutta, che non sono abbastanza. E che cos’è questa voce che sento, cos’è? Sto forse impazzendo per caso? O finalmente i fatti vengono a galla? Il mio inconscio alla fine ha sempre saputo tutto di me, tutto e me lo ha tenuto ignoto fino ad oggi. Perché, perché, perché sono fatta così? Perché ho bisogno che siano le altre persone a dirmi quello che mi succede attorno, senza che io riesca a capirlo?

E infine offriamo un’interpretazione dell’oscuro mistero della psiche umana di Beatrice Saba, attraverso la relazione tra due personaggi, uno dei quali, Atlas, è invisibile agli occhi altrui:

Alev: Non ti chiedi mai perché io sia l’unico a percepirti? Perché io voglio farlo e lo farò per sempre. Non credi che tua madre e tutti gli altri li fuori invece non lo abbiano mai voluto?
Atlas: Chi te l’ha detto? Come fai a saperlo?

Alev: A volte, quando esco, raggiungo la casa dove abitavi prima, quando ancora tutti ti volevano bene, e osservo ciò che succede all’interno dalla grande finestra di quello che una volta era il tuo soggiorno pieno di giochi.

Atlas: E cosa succede dentro?

Alev: Vedo tua madre e un bambino. Lo accudisce, lo coccola, gli offre tanto cibo e credo che ormai abbia ereditato i tuoi giochi. Sembrano così felici insieme, ridono e si abbracciano. Non credo di aver mai visto una famiglia più bella di quella.

Atlas: Non ci voglio credere, è impossibile. Perché non me l’hai detto prima? (piange)
Alev: Non eri ancora pronto, non avresti retto fino a questo punto. Stai crescendo e ormai sei grande, dovevi saperlo. Lei ti ha rimpiazzato, è come se non fossi mai esistito per quella donna. Non sprecare le tue lacrime, rimani qui con me e vedrai che andrà tutto bene.
Atlas: Ti prometto che rimarrò sempre con te, niente potrà dividerci. Troverò un modo per ringraziarti per quella notte, nella mia vecchia stanza, in cui mi hai allontanato per l’ultima volta dal mondo reale. Ricordo solo di essere caduto per terra, come se fossi sprofondato in una voragine, e di aver sentito per l’ultima volta la voce di mia madre che urlava mentre tu correvi, e correvi, con me in braccio, ripetendomi di addormentarmi e fare silenzio.

Noi studenti del 1G ci siamo messi alla prova tra tante difficoltà, imparando a mostrarci sicuri in situazioni diverse dal quotidiano. È stata un’esperienza che ci ha fatto maturare e crescere interiormente. Ringraziamo profondamente la nostra professoressa Francesca Vennarucci per averci dato la possibilità di uscire dagli schemi, di raccontarci nel modo più inverosimile, ma soprattutto per averci aiutato a rafforzare il nostro legame mostrando le nostre più intime debolezze senza la minima vergogna e imparando a conoscere quelle altrui rispettandole.

L’anno prossimo saremo pronti ad accogliervi con un’altra delle nostre follie!

“Una serata di musica, danza, arte e spettacoli, una serata in cui la nostra scuola rende protagonisti i suoi studenti”.

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