di Bianca Maria Mungari
L’odio si manifesta con forme espressive di diversa intensità. Per questo motivo l’Anti-Defamation League – un’organizzazione ebraica non governativa internazionale con sede negli Stati Uniti d’America – ha elaborato una scala, denominata la “Piramide dell’odio” che, misura le forme di odio in base alla “forza”, partendo da fenomeni “a bassa intensità” sino ad arrivare a veri e propri crimini d’odio.
La “Piramide dell’odio” mostra come un linguaggio ostile, normalizzato possa diventare discriminazione e sfociare in veri e propri atti di violenza contro le persone, di cui il genocidio rappresenta il punto più estremo e di massima espressione dell’odio.
La Commissione parlamentare “Jo Cox” (prende il nome dalla parlamentare laburista britannica uccisa nel giugno 2016 perché odiata dal suo assassino in quanto pacifista e attivista per i diritti delle donne), istituita in Italia nel 2016 sui fenomeni d’odio, intolleranza, xenofobia e razzismo, si è posta come obiettivo quello di indagare gli “ambiti dell’odio” e la loro definizione all’interno della citata “Piramide dell’odio”, all’interno della quale è ravvisabile una scala di livelli.
Alla base si colloca una forma di odio basata sulla stereotipia che alimenta l’intolleranza verso una persona o un determinato gruppo, in forza di preconcetti generati da pregiudizi; in questi casi, l’odio diventa una scelta di massa, facile e che si pensa sia anche giusta.
Questa primo grado di ostilità è, a parere degli studiosi, il più insidioso perché è vuoto di contenuti, di personalità. Spinge l’individuo verso l’omologazione e a conformarsi agli ideali del gruppo, anche se si ritengono sbagliati. Queste credenze condivise si traducono in sentimenti comuni generalizzati, che una volta messe in circolazione e distorte nel loro percorso di diffusione, si dimostrano ingannevoli e rischiano di offrire una falsa rappresentazione della realtà.
Il secondo livello è occupato dalla discriminazione attiva, che si attua attraverso messaggi di odio diffusi: per esempio, come quando sui muri delle case del nord Italia si scriveva “non vogliamo meridionali”; oppure, oggi, quando si legge sui muri delle case nelle nostre città “non si affittano case egli extracomunitari”. Questa forma si pratica moltissimo nel mondo dei social media, dove è ancora più facile mettere in circolazione messaggi discriminatori e offensivi, perché ci si nasconde nella rete e in un certo senso ci si de-responsabilizza dalle proprie azioni. Si tratta di idee che si traducono in atteggiamenti chiaramente discriminatori.
Infine, il terzo livello della piramide è assegnato alla prevaricazione, alla prepotenza fisica e psicologica, all’abuso, in cui la “ricerca del capro espiatorio” diventa la via per giustificare veri e propri comportamenti violenti. Come nel caso del pregiudizio razziale, che in passato ha portato i bianchi a discriminare e segregare altri esseri umani per il loro diverso colore della pelle; oppure, oggi, quando alcune persone vengono discriminate per il solo fatto di manifestare un orientamento sessuale diverso; oppure ancora come quando, in alcune società, alle donne è precluso l’accesso a alcuni ruoli e funzioni perché sono riservati legalmente ai maschi per il solo fatto di essere nati uomini e, come tale, gruppo dominante.
La “Piramide dell’odio” rappresenta perfettamente la sequenza attraverso la quale ogni atto di odio e di violenza, sia fisica sia verbale, si sviluppa e si articola.
L’odio, senza dubbio, va contrastato; ma con quali rimedi?
Secondo quanti hanno studiato approfonditamente il fenomeno, l’unico farmaco in grado di estirpare la radice dalla quale, quasi come un effetto domino, si innesca il meccanismo portante della piramide è la “conoscenza”, ovvero la cultura del confronto, diffusa tramite l’utilizzo di un “discorso empatico” che – in contrapposizione all’hate speech – è in grado di superare il pregiudizio, il preconcetto e lo stereotipo e recuperare il dialogo come terreno di incontro con l’altro e di riconoscimento del valore della diversità.