di Livia D’Amico, IV F
Era da poco scoccata la mezzanotte quando i due raggiunsero il tetto della loro abitazione, giunti alla conclusione che la vita tra qualche secondo sarebbe mutata, nella fugace musica di sottofondo di quello struggente ma piacevole epilogo. Stavano per mettere un punto alla pagina finale del loro libro, della loro storia. I loro sguardi persi si incrociarono, e riempiti i polmoni per l’ultima volta, cominciarono con il primo passo. Quel passo fu il primo di quattro. Perché quattro? Quattro anni lunghi anni ci vollero prima di cedere completamente alla disperazione, prima che l’ultima fioca scintilla di speranza si offuscasse del tutto; e quattro piccoli passi sarebbero stati la distanza che li avrebbe separati dal buio eterno. Avanzarono di un ultimo passo, e poi un altro, e infine un altro ancora. Rimase così solo quell’ultimo, quello che li avrebbe portati alla sconfinata pace, un piacevole lieto fine, non comprensibile a tutti.
Era ormai notte fonda, il silenzio era sovrano. I due accennarono una risata, forzata dai loro sensi di colpa, per non aver avuto il coraggio di far prendere parola alle loro emozioni. Scoppiarono in un pianto silenzioso. Ogni goccia salata attraversava il loro pallido viso, segnando così un ultimo ricordo in quella notte che stava per svanire. Stretta la mano della compagna, il ragazzo, anche se con qualche esitazione, compì l’inevitabile gesto, e la ragazza lo seguì, muta. Si lasciarono andare. Il tempo si fermò. Il fragile peso di entrambi trovò inaspettatamente appoggio nell’apparente vuoto più assoluto. Fu così che si aggiunsero altri passi, fino a che non iniziarono a camminare. Le loro mosse erano incerte, e lo divennero ancor di più quando si accorsero di star camminando sopra la strada che avrebbe dovuto accogliere la loro fine. Riuscirono a guardarsi nuovamente negli occhi, che questa volta dietro le lacrime nascondevano non più terrore, ma una debole scintilla di stupore.
Oh… da quanto non provavano quell’emozione, tanto che alla ragazza riaffiorò un lontano ricordo. Si abbozzò nella sua testa l’immagine di lei bambina, quando per la prima volta scambiò le sue prime parole con quel ragazzo che, a quanto pare, l’avrebbe accompagnata fino alla fine dei suoi giorni. Dazai Osamu fu il suo primo amico. Con lui era riuscita ad illustrare i sogni che prima di conoscerlo aveva imprudentemente rinchiuso in un cassetto. Peccato che avesse perso la chiave ormai da tempo. Lei tornò bruscamente alla realtà.
Più il tempo scorreva, più le sembrava di danzare su un mare di morbide nuvole. I due si unirono in un dolce ballo, improvvisato dai loro confusi sentimenti. Migliaia di pensieri attraversarono la mente di entrambi, come passeggeri che viaggiavano su un treno dai binari sconnessi. Nella confusione più totale si limitavano a danzare, l’uno vicino all’altra. Non si erano mai sentiti tanto attaccati alla vita. Quel loro momento di letizia fu interrotto dal tempo, che cominciò a scorrere più frenetico del solito. Lui strinse la ragazza a sé, facendola volteggiare per un’ultima volta. Accadde di nuovo, il tempo si sottometteva ai loro passi di danza. Ripresero a ballare nel vuoto della notte e nell’imperfezione di quei brevi attimi. Dopo qualche istante si lasciarono cadere nuovamente, smettendo di ballare, avvicinandosi sempre di più al suolo, per poi riprendere a danzare.
Non ci volle tanto ad arrivare sul saldo appoggio della fredda terra. Erano salvi. O forse questo era quello che credevano entrambi: appena toccarono il suolo con la punta del piede, il loro sogno di gloria si interruppe, e ritrovandosi nuovamente sulla cima del palazzo, dopo aver lasciato che la voce dei propri pensieri parlasse, si abbandonarono entrambi al loro destino, lasciandosi precipitare per la prima e ultima volta.