di Elena Ranalletta

In vista del bicentenario della rivoluzione greca, il 5 ottobre 2021 la Fondazione Roma  Sapienza, in collaborazione con il Dipartimento di Studi Europei, Americani e Interculturali  della Sapienza Università di Roma e la Cattedra di Lingua e Letteratura Neogreca, ha  bandito il concorso scolastico “La Rivoluzione greca del 1821 e il Filellenismo italiano”.  

Un’iniziativa interessante, che ha dato la possibilità agli studenti appassionati di  letteratura greca e neogreca di approfondire argomenti che, purtroppo, a scuola vengono trattati superficialmente o niente affatto, e di mettersi in gioco nella stesura di un saggio  meritevole di ottenere il primo premio.  

Francesco Siciliano, Marco Troilo, Francesca Tangari ed io siamo studenti del Liceo Classico Giulio Cesare e abbiamo deciso di partecipare, consegnando un saggio inedito il 22 dicembre 2021 e tenendo in seguito una presentazione a riguardo il 28 aprile di quest’anno, nel nostro istituto.  

Mi è stato chiesto di raccontare la mia esperienza come partecipante a questa iniziativa e di presentare il mio lavoro su Niccolò Tommaseo, filelleno italiano che si è distinto per il  suo impegno a favore della Grecia.  

La partecipazione interessata di Tommaseo verteva soprattutto sulla questione della  lingua, un dibattito che aveva acquisito sempre più importanza all’interno di una Grecia  che lottava per riconquistare la sua indipendenza sia politica sia culturale. Si discuteva  infatti del linguaggio che fosse più opportuno adottare nella sua nuova letteratura, e la  polemica si articolava tra i seguaci della lingua pura, i sostenitori della lingua mista e i  favoreggiatori della lingua demotica. La lingua pura si ispirava fortemente al linguaggio  degli antichi, sostenuta dai suoi fautori con l’argomentazione che quella fosse la lingua  utilizzata nel periodo di massimo splendore della Grecia; la lingua mista era invece  fortemente caratterizzata dall’utilizzo di termini stranieri, soprattutto italiani e francesi,  all’interno del linguaggio neogreco; mentre la lingua demotica, come suggerisce il suo  nome stesso, consisteva nell’idioma popolare comunemente parlato in Grecia. 

All’interno delle Scintille, l’intellettuale filelleno individua la lingua demotica come la lingua  neogreca più adatta ad essere utilizzata in letteratura poiché, in quanto evoluzione  naturale del linguaggio nel corso dei secoli, da lui considerata la più spontanea e naturale  per  esprimersi con autenticità. Tommaseo critica, inoltre, l’utilizzo di termini e metri  stranieri all’interno della poesia, rifiutando totalmente la lingua mista e invitando al  recupero da parte della Grecia della sua indipendenza culturale.  

Proprio con lo scopo di elevare il linguaggio popolare il poeta, che riconosce nel popolo  ellenico l’anima più genuina della nazione, si dedicò ad una raccolta delle poesie  folcloristiche greche, pubblicando nel 1841 i Canti Popolari, una selezione di  componimenti in lingua demotica tradotti in italiano e commentati. Analizzando il  linguaggio popolare presente nei canti proposti ed evidenziandone la bellezza, la  leggerezza e la musicalità, Tommaseo nobilita la voce del popolo greco, sostenendo il suo pensiero a  favore della lingua demotica. 

Propongo a questo punto una delle poesie all’interno dei Canti Popolari che ho analizzato  nel corso della mia ricerca.  

Il canto dell’Ospitalità Violata, posto da Tommaseo all’interno della sezione dedicata alla  famiglia (i Canti Popolari sono infatti suddivisi in quattro sezioni tematiche: Amore,  Famiglia, Morte, Dio), esprime l’emozione legata all’abbandono e al tradimento, in  relazione ad un altro aspetto tipicamente greco, quello della xenìa. La xenìa, l’ospitalità,  era ed è tuttora un sentimento fortemente sentito dalla tradizione greca, a tal punto da  intrecciarsi con quello familiare. Questa poesia, oltre ad essere fortemente  indicativa di questo aspetto patetico, presenta un accenno alla realtà bellica, 

propria della tradizione antica ma anche della Grecia moderna, che si era elevata agli  occhi dell’Europa occidentale grazie a quel periodo di rivoluzione, ribellione e guerra che  aveva attraversato durante la prima metà del 1800.  

Ospitalità Violata  

Salii all’Olimpo, e guardai in giro: 

in giro in giro il mare, e la terra ferma. 

E poi addietro tornai negli antichi alloggiamenti: 

li trovo tutti deserti; tutti, sopravi l’erba: 

alta voce gettai quanto potetti: 

– Ove sei, Andrico amico, Alessandro compare? 

– Alessandro non è qui; n’andò in Alassona: 

n’andò per raccogliere Albanesia, che venga e ti persegua. 

– E che di male gli fec’io, ch’ e’ mi vuole inseguire?  

Venne con vecchi vestiti, gliene feci nuovi: 

venne con vecchie scarpe, gliene feci intrecciate: 

venne con vecchie pistole, gliene feci d’argento. 

Cinque figliuoli gli battezzai: né pur uno gli viva! 

In questo canto è possibile notare un climax di emozioni che si susseguono  tempestivamente: la solitudine, la speranza, lo sgomento, la delusione, la rabbia. La  poesia popolare greca si presenta carica di profondità emotiva, capace di trasmettere  sensazioni e sentimenti attraverso immagini chiare e immediate. Queste emozioni sono  espresse attraverso la figura di un soldato che ritorna in patria, credendo di trovare gli  amici fidati impegnati in attività di guerra, e trova invece solo un campo desolato,  abbandonato da tempo (vv. 1-4). Cerca, con quanto più fiato avesse in gola, di  chiamare i suoi amici, sperando che fossero ancora nei dintorni (vv. 5-6), ma una voce  non ben identificata, forse dell’amico Andrico, gli risponde che non solo il suo amico  Alessandro, che era stata a lungo suo ospite, l’aveva abbandonato, ma che aveva anche  intenzione di tendergli un agguato (vv. 7-8). Egli però, appresa la notizia, non si  preoccupa del pericolo che corre ma, dopo un’iniziale sensazione di sgomento, viene  investito immediatamente dal dolore e dalla rabbia dell’ospitalità violata. Rammenta infatti  l’ospitalità offertagli, soprattutto l’aspetto più sacro di questa, quello spirituale e religioso,  legato al battesimo dei suoi cinque figli (vv 9-12). Con l’ultima metà del dodicesimo  verso, il canto si conclude con una maledizione estrema, che turba la quiete desolata che  caratterizza la poesia, culmine del climax che si era andato costruendo attraverso l’intero  componimento. 

Spero di aver di aver, con il mio elaborato, catturato l’interesse di qualche lettore nel  racconto di questo intellettuale italiano filelleno, che, sebbene non venga studiato a  scuola, detiene un ruolo importante nel processo di autodeterminazione della Grecia,  paese che, data la stretta corrispondenza storica e culturale, è legato all’Italia da un  rapporto di fratellanza, onorato soprattutto nel XIX secolo con i reciproci aiuti nelle  rispettive guerre d’indipendenza politica e culturale. 

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