di Valeria Cassisa, II G

Essere ammessi alla facoltà di medicina è un’impresa da non sottovalutare. Viene richiesta una dettagliata preparazione in materie quali biologia, chimica, fisica, logica e matematica e, pur avendo seguito corsi di ogni tipo e avendo completato Alpha Test da centinaia di euro, la probabilità di non essere ammessi è molto alta. Infatti, come mostrano i dati pubblicati dal ministero dell’Università e della Ricerca, quest’anno sono risultati idonei 28.793 dei 65.378 iscritti (la metà dei quali non è riuscita a raggiungere il punteggio minimo pari a 20), con una notevole diminuzione rispetto l’anno scorso, quando sono risultati idonei 38.715 iscritti.  

Molti studenti, non riuscendo a superare il test di ammissione alla facoltà, spesso scelgono facoltà associate, quali, per fare un esempio, farmacologia o biotecnologie, sperando di ritentare con successo l’anno seguente.

Il 24 settembre 2022, il Ministro dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, ha firmato il decreto ministeriale n. 1.107, che regola le nuove modalità di svolgimento del test di ammissione. In particolare, un notevole cambiamento è l’introduzione della possibilità, per gli studenti del quarto anno della scuola secondaria di secondo grado, di sostenere il concorso e l’opportunità di tentare per due volte, infatti nel 2023, il test si terrà sia ad aprile che a luglio. Quindi si avranno a disposizione quattro tentativi in totale, al termine dei quali, si considererà il test con il miglior punteggio ottenuto, aumentando così le probabilità di riuscire ad accedere alla facoltà. Il test di svolgerà su pc in un ateneo, con un totale di 50/60 domande per una durata di 90 minuti.

Per ottenere qualche utile consiglio ci siamo rivolti ad una ex alunna, Marzia Temperini, ora al terzo anno di Medicina. Marzia è riuscita ad entrare al secondo tentativo, dopo un anno di farmacologia. Nell’intervista che segue ci ha raccontato la sua esperienza.

Marzia come hai affrontato il primo anno di farmacologia?

Senza dubbio non ero entusiasta di intraprendere un percorso diverso da quello desiderato. Non superare il test mi ha lasciato molta amarezza. In primo luogo poiché, alla pari di tanti altri che lo tentano, non attendevo altro che iscrivermi a medicina, e c’è stata la delusione, a fronte di tante ore dedicate allo studio, di non aver realizzato questa possibilità. Al liceo ero sempre stata abituata ad osservare una diretta correlazione tra il mio impegno nello studio e i risultati scolastici. Quello in cui avevo sbagliato, in questo caso, non era tanto aver dedicato poco tempo alla preparazione, ma non aver insistito a sufficienza nel colmare le mie lacune.

Come molti studenti che affrontano questa stessa prova, mi ero preparata dei “piani B”, consapevole che, se non fosse andata bene, avrei potuto iniziare un corso di laurea diverso da medicina (ma affine a quest’ultimo), sostenendo esami che da una parte mi avrebbero permesso di avere conoscenze più salde nelle materie scientifiche (in funzione del test di ammissione), e dall’altra questi stessi esami probabilmente sarebbero stati convalidati semmai fossi entrata l’anno successivo a medicina. Pertanto, pur sapendo che farmacia non era il corso che incontrava i miei interessi, non superare la prova non mi ha lasciata “spiazzata”, perché non ero sprovvista di alternative per l’anno di passaggio in attesa della prova.

Facendo leva sul mio temperamento, in primo luogo mi sono data il beneficio del dubbio: ho dato a me stessa la possibilità di valutare se questo corso mi potesse interessare o se volessi tentare nuovamente la prova; non ho voluto poi sprecare l’opportunità di studiare in maniera più approfondita materie quali chimica, fisica, biologia, e colmare le lacune alle quali facevo riferimento; così come ho voluto stringere nuove amicizie e vivere in generale con curiosità ed entusiasmo un nuovo ambiente, quello universitario. 

È una questione di prospettive, a mio avviso: posto che un qualcosa ha avuto luogo, come intendo reagire?

È stata un’occasione per interrogarmi su me stessa e lavorare sulle mie debolezze piuttosto che rimanerne scontenta nel luogo periodo.

Non nascondo che quando i conoscenti mi chiedevano che percorso stessi facendo, non era con soddisfazione che rispondevo “farmacia”, perché i miei desideri erano altri. Così come non è stato semplice tenere a mente che una prova non esprimeva un giudizio qualitativo sulla mia persona: non aver superato un test non faceva di me una brava o una cattiva studentessa in medicina, così come andare “bene o “male” agli esami non fa di uno studente un bravo o un cattivo professionista (e quindi un medico). Il test di ingresso a medicina stabilisce solo se si è stati capaci di superare una prova a quiz per la quale è richiesto, da un punto di vista didattico, un certo tipo di studio, e da un punto di vista psicologico l’essere in grado di gestire l’emozione o l’ansia.

Non nascondo neanche che fosse molto alta la preoccupazione per la prova dell’anno successivo, poiché, una volta appurato come l’anno a farmacia per me fosse solo un anno di passaggio e quel percorso non facesse per me, non avrei saputo quale scelta fare qualora il test fosse andato male una seconda volta. Ci sono stati momenti di scoraggiamento, ho dovuto trovare un equilibrio tra la preparazione al test e lo studio universitario, gestire il mio stato d’animo… e, come tutta la popolazione mondiale, convivere con la pandemia. 

È stata una prova importante che mi ha fatto crescere, sia sotto il profilo dello studio che sotto quello personale. 

Mi ha anche insegnato a metter continuamente in dubbio me stessa e a non scaricare la responsabilità di un avvenimento su di altro (il test di ammissione non era in sé per sé fautore del mio mancato accesso a medicina), ma a valutare i miei limiti e le mie manchevolezze, in quanto consapevole che al primo tentativo avevo fatto degli errori che dipendevano da me solamente. 

Con ciò non intendo dire che non superare la prova sia stato un evento positivo per la mia persona, l’ho voluto piuttosto vedere come un’occasione da cogliere.

Hai qualche consiglio per la preparazione alla prova di ammissione?

In primo luogo mi sento di invogliare a chiedersi se si tratti effettivamente di ciò che si intende studiare. Molti amici o conoscenti sono stati, e in apparenza potrebbe sembrare un paradosso, sollevati all’idea di non aver superato il test, in quanto poi hanno maturato la consapevolezza che il loro “piano B” era il corso che veramente gli stava a cuore (e proseguendo negli studi continuano a darne conferma). 

Non sono perciò da sottovalutare gli incontri di orientamento universitario, le possibilità di confrontarsi con studenti universitari e con professionisti. Vorrei inoltre ricordare come le lezioni degli Atenei pubblici siano esse stesse aperte al pubblico: chiunque può presentarsi ed incuriosirsi.

Suggerisco anche di fare uno studio di qualità delle materie della prova di ammissione e di svolgere quanti più quiz possibile: il loro livello di difficoltà, soprattutto, dovrebbe essere simile a quello della prova stessa. È importante prendere atto degli argomenti che si padroneggiano di meno, della frequenza con cui capitano, dei quiz con i quali si ha più difficoltà, per migliorare laddove si è più insicuri e ridurre la probabilità di avere, il giorno della prova, sotto il naso molte domande alle quali non si sa rispondere. Il tutto tenendo a mente che non è un ostacolo insormontabile e che si può affrontare per tempo e con serenità di spirito (e non è la fine del mondo se non si supera!).

Cosa ne pensi delle novità apportate al test con il nuovo decreto?

Ho avuto l’impressione che siano state introdotte tante novità senza intervenire sul problema per il quale è stato inserito il numero chiuso: la disponibilità delle strutture. Il problema della capienza, pertanto, permane. I corsi di laurea in medicina non possono fare a meno di contenere il numero di studenti, in quanto non si può offrire una formazione di qualità laddove, oltre a lezioni frontali, sono previste attività in laboratorio e frequentare reparti ospedalieri. Se il numero di studenti eccede la disponibilità di una struttura universitaria e ospedaliera, la qualità si abbassa. Il rapporto tra professore e studente ai fini della formazione è, in questo caso, diretto. Un ospedale universitario è frequentato da una molteplicità di professionisti, da infermieri a studenti in infermieristica, da medici strutturati a medici specializzandi a studenti tirocinanti…Se le strutture (già affollate) sono in grado di ospitare un numero limitato di persone e i docenti chiamati ad insegnare vis à vis ai discenti, il test di ammissione potrà subire tutti i cambiamenti del caso, ma il problema rimarrà.

E dunque non ci resta che ringraziare Marzia, farle i migliori auguri per il suo percorso di studi e augurare a tutti coloro che si accingono a provare un sentito incoraggiamento: mai abbandonare i propri sogni!

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