di Arianna Carozza e Camilla Albore, III G

Nell’ultimo anno si è diffusa una modalità di protesta che ha coinvolto opere d’arte in tutta Europa. Le proteste si potrebbero dividere in due tipologie: alcuni si sono incollati alle opere mentre altri le hanno imbrattate con della zuppa. A quanto pare, le proteste del primo tipo sono iniziate con gli attivisti di Ultima Generazione che, nel 2021, si sono incollati al Laocoonte. Il 5 novembre di quest’anno, invece, delle attiviste si sono attaccate a la Maja Desnuda e a la Maja Vestida di Goya. Il 14 ottobre alla National Gallery due attiviste di Just Stop Oil hanno imbrattato I Girasoli di Van Gogh con zuppa di pomodoro e poi si sono attaccate alla parete sottostante, ispirando così altri attivisti ad aggiungere questo step al loro modus operandi.

Questi attivisti fanno parte di collettivi e associazioni che si pongono l’obiettivo di fermare le emissioni di CO₂ causate dai combustibili fossili: obiettivo che dovrebbe essere condiviso da chiunque considerata la portata dei danni del surriscaldamento globale.

Tuttavia, nonostante la nobile finalità, i risultati di questo tipo di protesta finora sono stati controproducenti, forse proprio perché l’atto incriminante, che potrebbe costare ad alcuni degli ambientalisti anche anni di carcere, non colpisce direttamente i maggiori responsabili, come società petrolifere, fabbriche o industrie, ma il pubblico di persone comuni che possiedono un campo d’azione limitato. Sul sito di Just Stop Oil la spiegazione del gesto è stata: «Siamo spaventosamente vicini a perderla (l’Arte), per questo dobbiamo puntare sulla cultura per provocare, sfidare e stupire. Non c’è altro modo». Gli attivisti hanno, inoltre, aggiunto: «Non si tratta vandalismo violento, bensì di una manifestazione di un amore profondo per la vita e per l’arte, che solo attraverso un intervento serio e tempestivo dei Governi possono essere tutelate».  Essi sottolineano che non è ancora presente nella società un’indignazione comune e profonda per i vari disastri naturali che stravolgono il nostro mondo a causa del cambiamento climatico. Su questo di certo non si può controbattere, in quanto hanno ragione: l’impegno nei confronti della causa ambientale è insufficiente di fronte alla grandezza dei danni causati dal surriscaldamento globale, e non solo da parte della classe politica, ma anche da parte della stessa società civile.

Bisogna ricordarsi, tuttavia, che le pennellate degli artisti non sono affatto escluse dal panorama sociale e politico, anzi. L’arte nel corso della storia è comparsa più volte in vicende di questa natura, sia come strumento di propaganda sia come mezzo di protesta. Tuttavia per tali scopi, ad esclusione della damnatio memoriae, le opere sono state create e non di certo distrutte o danneggiate. A tal proposito esiste una corrente artistica che ha come obiettivo quello di dare visibilità a questo tipo di tematiche sociali e politiche. Essa è chiamata artivismo (la parola proviene dall’unione delle parole ‘arte’ e ‘attivismo’ appunto) ed è una corrente recente, già rappresentata in ‘Guernica’ di Picasso che potrebbe essere considerato artivismo ante litteram. Questa corrente sfrutta soprattutto la street art e, infatti, uno degli artisti più ‘noti’ è Banksy. Sarebbe dunque necessario rivalutare le arti visive come metodo di espressione alternativo, al fine di creare nuovi simboli invece di danneggiare quelli esistenti, perché, anche se con una risonanza mediatica inferiore, almeno non rischiano di diminuire la credibilità della causa. Voler coprire le tele degli artisti per simboleggiare il futuro torbido che non riusciamo ad intravedere potrebbe infatti risultare dannoso e non proficuo.

L’arte, infatti, è molto di più di una serie di pennellate in accordo cromatico, essa è politica. L’arte è libertà, l’arte è storia, l’arte è lo strumento di espressione della cultura dei popoli ma soprattutto l’arte è protesta e resistenza.

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