di Beatrice Saba, II G

La bestia, lo spirito animale, la metamorfosi. Nel corso della vita tutti subiscono cambiamenti radicali, modifiche, provano nuovi stili di vita e più di tutte le altre una vera e propria metamorfosi. Dal greco metà (dopo) e morphé (forma) questo termine significa letteralmente: trasformazione di un essere o di un oggetto in un altro di natura diversa.

Gregor Samsa, il protagonista delle “Metamorfosi” di Kafka, trasformatosi in un essere abominevole quale uno scarafaggio, una creatura piccola per dimensioni, ma che provoca effetti terribili su coloro che la vedono, diventa inconsapevolmente, in una mattina qualunque, una bestia. Tutto d’un tratto, un uomo sempre attento a rispettare i canoni sociali, un uomo totalmente normale, si ritrova a non avere più una funzione all’interno della società, come se non avesse mai avuto veramente importanza. Gregor diventa un escluso, un diverso, un peso per la famiglia, colui che non ha un proprio posto, è un emarginato. La figura del protagonista diventa un capro espiatorio: persino la sorella Grete, che inizialmente si prende cura di lui, infine afferma: “Abbiamo fatto tutto quanto umanamente possibile per prenderci cura di lui […], non credo che nessuno possa biasimarci minimamente”. Gregor non crede sia un problema la sua metamorfosi, anzi, nel corso del libro non cerca mai di ritornare al suo stato originario di uomo, dunque nella condizione migliore per fare una vita normale, bensì si cala pienamente nella parte del diverso e chiede semplicemente di essere accettato per quello che è.

Ed è questo ciò che ognuno di noi fa quotidianamente. Ci sentiamo diversi, perché siamo diversi gli uni dagli altri, ma persino noi stessi non ci accettiamo per quello che siamo e mostriamo agli altri ciò che la società si aspetta da noi. Passiamo la nostra intera vita a cercare approvazione, bene, amore da coloro che non conoscono e non conosceranno mai il nostro io interiore. Il nostro scarafaggio a volte però non sopporta più tale condizione e cerca di rompere lo specchio della nostra anima, costituita da due facce, la prima rivolta verso l’interno e l’altra verso chi ci vede da fuori e non vede altro che se stesso, uomini destinati ad essere marionette e governati da qualcosa di più grande. Alla fin fine siamo tutti dei vigliacchi, diciamo di rispettare gli altri, di accoglierli, di non voler essere esclusi, ma i primi a non farlo siamo noi con noi stessi.

Se non ci accettiamo per come siamo, chi siamo veramente?

Kafka ci parla di un’alienazione di massa, l’alienazione di un’intera società, che nel libro è rappresentata dalla famiglia del protagonista, dove gli uomini sono macchine, dedite costantemente al lavoro e ai soldi. Gregor non può, per colpa del conflitto con suo padre, raggiungere l’apice della propria ispirazione artistica, non può combattere per le proprie passioni, e solo nel momento in cui diventa una bestia viene lasciato stare al proprio destino. Come il mondo in cui viviamo lascia allo sbando gli emarginati. Lo scarafaggio rappresenta la colpa, la colpa di chi non è omologato agli altri, la colpa di chi butta via un’intera esistenza fingendo. L’errore grava sulla nostra pelle: come il pezzo di mela lanciato dal padre del protagonista sulla sua corazza rimane in modo permanente. Quella mela lanciata è il motivo che impedisce di ignorare il dolore di coloro che soffrono dinnanzi a noi. Gregor è pur sempre suo figlio anche se egli non ne accetta l’umanità: “La grave ferita di cui soffrì per un mese, parve ricordare anche al padre che Gregor, nonostante l’aspetto misero e ripugnante, era un membro della famiglia e non poteva essere trattato come un nemico: il dovere familiare imponeva, al contrario, di reprimere la ripugnanza e avere pazienza, solo pazienza”.

La morale umana fa finta di comprendere ciò che gli individui provano davvero, fa finta di accettare, fa finta in continuazione. E questa situazione pian piano sta sfuggendo di mano, tutte le minoranze, i “diversi” vengono rifiutati. Persino i rapporti tra fratelli sono compromessi: Grete, la giovane sorella amata e protetta da Gregor, lo aiuta e lo nutre in principio, ma sempre con un certo distacco, come se l’amore per il fratello non andasse oltre il suo aspetto. Invece Gregor, sebbene abbia sembianze ripugnanti, rimane pur sempre sé stesso. Egli si pone in una condizione tale da poter comprendere e provare empatia nei confronti di chi è escluso, ed è questo il modo in cui Kafka vuole farci capire quanto sia importante, se non essenziale, metterci nei panni altrui, prima di arrecargli danni irreparabili.

Lo scarafaggio è una vittima sacrificale della società, destinato a nascondersi, ad essere una semplice ombra che gli altri vogliono giudicare e rifiutare. Tutti sono consapevoli di esserlo in fondo alla propria anima: anche coloro che ci sembrano sempre composti, quando si ritrovano a dover affrontare se stessi subiscono una grande metamorfosi. Tutto è un continuo ciclo ripetuto all’infinito, come l’uroboro, il serpente destinato a mangiarsi continuamente la coda, si nasce, si cresce e infine si muore da soli. Gregor subisce infatti questa fine. Dopo essere stato abbandonato da tutti non può far altro che morire e la sua fine diventa invece un lieto fine per la famiglia. Viene eliminato e nessuno si ricorda della sua esistenza. La famiglia riesce a sanare la propria situazione economica e sembrano tutti felici e contenti.

Felici di aver eliminato il nemico comune, il peso immane di un piccolo scarafaggio.

Ed è questo, ahimè, che accade ogni giorno nel mondo attuale. La società elimina le nostre passioni, la reale bestia che ci rappresenta, ma che un giorno riuscirà ad uscire fuori, quando ogni individuo l’accetterà. Jorge Luis Borges spiega bene cosa accadrebbe se solo gli umani provassero empatia nei confronti degli altri, nel racconto “Animali degli specchi”:

“A quel tempo il mondo degli specchi e il mondo degli uomini non erano, come adesso, incomunicabili. Erano, inoltre, molto diversi: non coincidevano né gli esseri, né i colori, né le forme. I due regni, lo speculare e l’umano, vivevano in pace; ma per gli specchi si entrava e usciva. Una notte la gente dello specchio invase la terra. Irruppe con grandi forze. Ma, dopo sanguinose battaglie, le arti magiche dell’Imperatore Giallo prevalsero. Egli ricacciò gli invasori, li incarcerò negli specchi, e impose loro il compito di ripetere, come in una specie di sogno, tutti gli atti degli uomini. Li privò di forza e di figura propria, riducendoli a meri riflessi servili. Un giorno, tuttavia, essi si scuoteranno da questo letargo magico. Il primo a svegliarsi sarà il Pesce. Nel fondo dello specchio scorgeremo una linea sottile, e il colore di questa linea non rassomiglierà a nessun altro. Poi verranno svegliandosi le altre forme. Gradualmente, differiranno da noi; gradualmente, non ci imiteranno. Romperanno le barriere di vetro o di metallo e questa volta non saranno vinte. Al fianco delle creature degli specchi combatteranno le creature dell’acqua. Nello Yunnan si parla non del pesce ma della Tigre dello specchio. Altri intende che, prima dell’invasione, udremo nel fondo degli specchi il rumore delle armi”.

Il nostro spirito animale cerca in continuazione di rompere lo specchio che lo imprigiona, a volte prevale lo specchio, a volte esso combatte così tanto da riuscire ad arrecargli crepe, anche piccole. Pian piano le crepe crescono di dimensione, si fondono tra di loro, e lo specchio va in mille pezzi. Mille pezzi che costituivano un tempo la finta immagine della bestia, umanizzata. E in quel momento, proprio in quel momento, quando il rumore delle armi si fa più intenso, la bestia, quella primordiale, esce allo scoperto e cerca in qualunque modo di distruggere ciò che ha intorno. Distrugge i canoni, la morale, tutti i principi, non fa eccezioni. Ed è purtroppo per questo che gli umani cercano di nuovo di imprigionarla, la vogliono rinchiudere, è ingestibile. Fanno di tutto, impongono nuovi canoni, nuove leggi, ma non ci riescono. Ed è cosi che la società si dimostra per quel che è. Lo specchio così ci insegna: bisogna essere vili e codardi. Così ci insegna lo specchio: dobbiamo essere tutti uguali, come fossimo stati creati con lo stampino. E infine lo specchio rinchiude, per la millesima volta, gli animali, copie migliori di noi stessi.

Chi decidiamo di voler essere? Coloro che imprigionano o i prigionieri? Sceglieremo mai noi stessi o semplicemente gli altri? Decideremo di conformarci o distinguerci dalla massa? E infine, capiremo mai chi siamo o continueremo ad essere un mero riflesso servile?

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