di Thea Ceccarelli, I G

«L’intelletto è di per se stesso una forma di esagerazione e distrugge l’armonia di qualunque volto».

Non riterrei contraddittoria questa frase pronunciata da un divulgatore del culto dell’immagine, un influencer o un fashion blogger, figure queste che tenacemente, ogni giorno, ci illustrano quanto sia importante apparire.

Tale citazione invece costituisce uno degli innumerevoli aforismi pronunciati da Lord Henry Wotton nel romanzo Il ritratto di Dorian Gray, scritto da Oscar Wilde nel lontano 1890. Il raffinato autore di origini irlandesi oppose alla borghese mentalità dell’Inghilterra vittoriana un atteggiamento eccentrico e spregiudicato, ostentando la ricerca del bello e il proprio biasimo per la convenzionale falsa moralità dell’epoca, nascosta sotto una maschera perbenista.

Il ritratto di Dorian Gray rappresenta, con incomparabile abilità letteraria, il più illustre manifesto dell’estetismo. Appena pubblicato sulla rivista letteraria Lippincott’s Monthly Magazin si guadagnò la disgustata indignazione di una cospicua fetta della critica per l’immoralità del contenuto, tanto che Wilde, l’anno seguente, fece pubblicare in forma di libro il proprio romanzo ampliandolo di alcuni capitoli e arricchendolo con una pungente prefazione rivolta espressamente contro i maldisposti recensori.

Certo, la disapprovazione etica del tempo fu dettata non solo dalla tematica generale trattata, quella del conflitto tra l’edonismo, ovvero la ricerca del piacere, e la morale, ma anche per il suo contenuto omosessuale, tanto che il componimento fu usato come arma processuale contro Wilde qualche anno dopo. Ma questa è un’altra storia.

Tornando alla citazione iniziale, quanti oggi la considerano valida? Certamente pochi. Chiunque faccia appello alla razionalità ne comprende i toni impertinenti.

Eppure, con l’ascesa dei social media, tanti colgono l’opportunità per esaltare artificiosamente la propria armonia estetica, per mostrare una visione di noi stessi distorta rispetto a quella reale, perfezionata grazie a filtri e pose ricercate, ferendo di fatto il nostro intelletto. La promozione quotidiana di un’immagine perfetta esalta il valore superficiale e sminuisce l’individualità di ogni persona; esibisce un’apparenza che penalizza il proprio essere.

È condivisibile che si dia importanza all’aspetto esteriore perché costituisce il primo approccio con il prossimo, in quanto esseri sociali abbiamo il bisogno di sentirci accettati, ma nel contempo credo che oggi vi sia un’eccessiva propensione verso un mondo virtuale, composto per lo più da sconosciuti, in cui l’apparenza acquisisce un’importanza inadeguata, direi spropositata. 

La nostra società basata sull’immagine ci suggerisce una cultura composta da icone perfette che sfoggiano volti e corpi impeccabili, i quali ostentano una vita invidiabile.

Come Lord Henry Wotton è in grado di ammaliare e persuadere Dorian Gray, così i social network ci trasportano su un palcoscenico ideale in cui possiamo metterci in mostra sfoggiando il meglio di noi: baci social, nozze social, tramonti social e persino baby social.  Se nell’Inghilterra vittoriana di Wilde l’essere apprezzati derivava dall’inserimento nell’alta società, oggi il nostro appagamento sociale sembra dipendere dal numero di followers e like. La ricerca di consensi attraverso la condivisione di momenti anche intimi ci conduce verso uno pseudo appagamento dettato probabilmente da una scarsa fiducia in noi stessi.

Sybil Vane, l’aspirante attrice della quale Dorian Gray si innamora, perderà l’attenzione del giovane a seguito di un fallimento sul palcoscenico, il luogo per eccellenza dell’apparire, e ciò la condurrà verso un progressivo sconforto sino ad indurla al suicidio.

Wilde dunque sottolinea il rischio insito nel confondere il valore tra l’individuo che è e l’individuo che appare, e lo esprime magistralmente soprattutto con il personaggio di Dorian Gray. Questi, un meraviglioso giovanotto londinese, il quale definir bello appare riduttivo, è incantevole, avvenente, di uno splendore divino. Il Brad Pitt dell’Inghilterra vittoriana diviene nell’arte del pittore Basil Hallward «quello che per i Veneziani fu l’invenzione della pittura a olio, il volto di Antinoo fu per la tarda scultura greca», la principale e unica fonte di ispirazione.

Nel proprio luminoso studio, Basil trasferisce su tela la delizia del giovane amico. Nello stesso luogo Dorian conoscerà colui che diverrà il proprio mentore, il cinico Lord Hanry Wotton, colto e affabile ma con idee imprudenti. Ancora, nel medesimo studio, Dorian maturerà un pensiero che lo condurrà ad esprimere un desiderio: è così crudele che il trascorrere del tempo possa strappargli l’incanto! invecchierà e appassirà come un fiore, mentre il ritratto rimarrà immutabile! cosa darebbe affinché il marchio inevitabile impresso dallo scorrere degli anni, l’avvizzire, potesse essere rivolto alla tela che lo rappresenta e non alla sua persona! L’auspicio del ragazzo, ciò che in seguito lui stesso definirà «patto con il demonio», diverrà realtà. Conserverà il proprio meraviglioso aspetto angelico mentre il quadro invecchierà al suo posto.

Citando J. K. Rowling: «bisogna essere cauti nell’esprimere desideri, perché potrebbero avverarsi». Il prezzo da pagare è infatti lo scostamento del corpo dalla propria anima, la quale risulterà riflessa nelle pennellate di Basil.

Forte della consapevolezza che le azioni commesse non avrebbero ridotto l’incanto suscitato in chi lo circonda, Gray conduce negli anni a venire una vita depravata e viziosa, priva di quei principi morali che il caro Henry Wotton tanto disprezzava. Laddove il corpo splende di una bellezza sempre intatta, orribilmente il ritratto muta per ogni singola malefatta.

Il romanzo si conclude con un protagonista stanco, esausto della bellezza ed esasperato dalla giovinezza. L’ostinarsi nel preservare la giovinezza aveva macchiato indelebilmente la sua essenza. Il cammino della sua vita non era stato altro che una beffa, una grande, grandissima e tragica farsa, e il suo volto celestiale e soave solo una macabra maschera.

Abbagliato dalla convinzione che il solo dipinto patisse le trasgressioni commesse dal corpo, nell’instante in cui Dorian tenta di liberarsi da quell’anima corrotta, corpo e spirito si ricongiugono.

Ognuno di noi è sia l’essere che l’apparire e la vita non si inganna.

Oscar Wilde regala al lettore attraverso pagine allettanti e pungenti il suo Dorian Gray, un personaggio tanto ideale nell’apparenza quanto umano nell’animo, le cui debolezze sono ancora oggi così simili alle nostre da indurci a riflettere per scorgerne errori e possibili soluzioni.

Dunque possiamo redimere il Dorian Gray che è nascosto in noi? Possiamo affinare il rapporto con il nostro ritratto, o meglio con il nostro selfie?

Viviamo il mondo virtuale come si trattasse di una galleria d’arte in cui esporre la propria immagine sorridente, ma questo non ci rende più felici, risponde piuttosto ad una esigenza di appartenenza, di omologazione.

Eppure ognuno di noi è dotato di peculiarità che lo rendono unico, ma di questo i social non sono al corrente. Instagram non conosce la grazia di Angelica, la schiettezza di Giulio, le conoscenze storiche di Riccardo e non sa che Matteo disegna come Michelangelo…

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