di Ginevra Morelli, II G

Coming Out: il suo significato letterale è “uscire allo scoperto” nel senso di voler abbattere quella sfera di invisibilità che circonda chi non è “socialmente accettato”, oppure chi non segue i parametri standard di una società come la nostra. Durante la settimana dello studente ho ritenuto importante proporre un incontro sul “Coming Out” con l’ospite Pietro Turano, portavoce del Gay Center, attivista per i diritti LGBTQ+ e attore della serie TV “Skam”. Sono molto soddisfatta dell’affluenza che vi è stata in anfiteatro ma, soprattutto, dell’attenzione e della sensibilità di tutta l’aula nei confronti di un tema così importante.

Ho scelto di portare proprio Pietro Turano perché lo ritengo una persona molto preparata, sia livello personale che a livello lavorativo.

Pietro ha iniziato con l’esporci il coming out con i suoi genitori e da lì ha toccato vari argomenti che lui riteneva importanti. La sua esperienza personale, come ci ha raccontato, si basa sull’incontro casuale, tramite un social media, con un ragazzo della sua età (12 anni all’epoca) di cui si era follemente innamorato, pur non avendolo mai visto, poiché era di Rimini. Avendo lui una casa nelle Marche, aveva chiesto ai suoi genitori di passare per Rimini per incontrare un suo “amico” (così aveva posto la questione inizialmente). In seguito, poiché il padre non aveva acconsentito a questa sua richiesta, Pietro decise di confessare che questo ragazzo era in realtà il suo grande amore, sperando che i genitori si sarebbero così convinti. Dopo questa “rivelazione” Pietro ci ha raccontato che suo padre sbiancò e sua madre iniziò a tremare. La cosa che lo colpì di più fu proprio questo “spasmo” che ebbe la madre, tanto che lui le chiese se si sentisse bene, e lei con grande audacia, essendo fuori piena estate caldissima, gli rispose: “Si tesoro, ho solo freddo”.

Pietro ci ha detto di essere molto grato per la reazione che ebbero i suoi genitori, poiché era evidente che in realtà per loro era stato uno shock, ma comunque lo tranquillizzarono e furono felici che lui ne avesse parlato, tantoché alla fine lo portarono a Rimini per conoscere questo ragazzo e ad oggi sono molto orgogliosi di lui.

I genitori: perché sono un tasto così dolente per chi decide di fare coming out? Riflettendo insieme durante il corso siamo giunti alla conclusione forse più scontata: i figli cercano l’approvazione dei genitori in tutto e per tutto. Purtroppo, nel caso in cui ci si trovi davanti a una coppia di genitori che seguono lo schema eteronormativo non aprendosi ad altre possibilità, il coming out viene sentito come una delusione e molto spesso ci si ritrova di fronte a casi in cui ragazzi e ragazze vengono obbligati a frequentare terapie di conversione o, nei casi estremi, cacciati di casa. Certo i nostri genitori sono nati in un’epoca diversa, con una mentalità diversa e con abitudini diverse (chi più e chi meno), per questo non comprendere subito una cosa come il coming out, è comprensibile, l’importante è che ci sia la predisposizione a voler comprendere e a voler imparare qualcosa di nuovo per arrivare al punto in cui, anche qualcuno che prima non comprendeva possa dire “questo è normale, perché l’amore non ha regole”.  

Pietro ci ha aiutato a capire, grazie alla sua esperienza, come lo stereotipo di “maschio con femmina” e “femmina con maschio” influenzi in modo inconsapevole un po’ tutti noi: per questo si parla di “radici profonde di pregiudizio”. Ci ha raccontato ad esempio di due suoi amici di famiglia che, quando lui era piccolo, i suoi genitori definivano “amici”, ma in realtà erano una coppia. Per Pietro bambino, anche se i due fossero stati compagni, non ci sarebbe stato niente di strano, eppure, nonostante intorno a lui ci fosse un ambiente molto aperto e sereno, è come se lo avessero voluto proteggere da una verità sconvolgente: il pregiudizio è radicato nella società e influisce su tutti, sebbene con modalità e intensità differenti.

Lo scopo del corso con Pietro era quello di sfatare il falso mito secondo cui affermarsi è necessario e personalmente credo che il messaggio sia passato: la scelta di fare coming out è personale e non va giudicata, ci sono persone che lo fanno e altre invece che non ne sentono il bisogno. Non vi è un modo giusto o sbagliato di vivere l’affermazione di noi stessi: qualcuno può gridarlo ai quattro venti e qualcun altro può gridarlo a se stesso e stare bene anche così.

Il Coming Out, come il Pride, sono modi per dire: “Ehilà! Guardate che esisto anche io! Ci sono anche io in questo mondo e sono uguale a voi!”. Il processo di affermazione consegue a un processo di accettazione, ci spinge a scoprirci alla luce del sole e a mostrarci con trasparenza al mondo che ci circonda, ma soprattutto ci permette di esprimere ciò che siamo con fierezza e orgoglio.

Inoltre abbiamo anche condiviso l’esperienza del coming out  che si ripete ogni giorno: ogni giorno facciamo i conti con noi stessi e ogni giorno, quando incontriamo qualcuno di nuovo o ci troviamo in ambiente diverso dal solito, usciamo come la prima volta allo scoperto e i “nuovi arrivati” scoprono un qualcosa di nuovo su di noi. Questo avviene anche perché è come se fosse scontato; tutti quanti sono eterosessuali, non vi è alternativa, la prima domanda sentimentale viene sempre riferita a un qualcuno del sesso opposto al nostro perché non si è abituati ad uscire dallo schema eteronormativo.

Nella mia vita ho incontrato alcune persone che, alla scoperta casuale della mia omosessualità, mi hanno detto “sì però almeno potevi tenertelo per te” e ogni volta questa frase ha suscitato in me la stessa risposta: perché avrei dovuto? Per evitare alle persone di sembrare imbarazzate dopo questa “scioccante” confessione? Forse per non mettere me stessa in imbarazzo? Sinceramente non so che risposta si aspettassero, quello che so invece è che: NO non potevo tenermelo per me e sapete perché? Perché alla fatidica domanda: “E tu un ragazzo ce l’hai?” continuerò a rispondere fieramente, “No ho una ragazza” e continuerò a disinteressarmi del becero pensiero di chi con modi insolenti e no, proverà a farmi sentire “diversa”. Il pregiudizio degli altri nei miei confronti, dopo che ho fatto coming out, non mi ha mai particolarmente toccata, e per questo devo ringraziare la mia forte personalità e la grande convinzione che ho nelle mie idee. Ciò non toglie che anche io ho avuto “amici” che si sono allontanati alla scoperta della mia bisessualità, e inizialmente mi è dispiaciuto, ma col passare del tempo, come ha detto anche Pietro, ho capito che era meglio così. Era meglio così perché chi mai vorrebbe vicino qualcuno che non ti accetta così come sei? Con il tempo si capisce che è meglio stare da soli piuttosto che avere intorno persone che ti guardano con occhi diversi solo per il tuo orientamento sessuale.

Dopo il mio coming out per me è stato come appartenere finalmente a qualcosa, esistere, essere finalmente riconosciuta in una comunità, essere a conoscenza di quello che non viene mostrato con piacere dalla società, di qualcosa di cui non sapevo l’esistenza, ma che per me era così normale tanto da non capire quanto il mondo esterno in realtà avesse provato a nascondermelo.

Il percorso di accettazione personale non è una passeggiata; non è facile sentirsi “normali” in una società etero normativa e non è facile essere sempre il “diverso” in mezzo alle persone. Il messaggio che volevo far passare con questo corso era: amatevi, amatevi senza pregiudizi, senza limiti, amatevi senza paura di essere, amatevi vivendo, amatevi con passione, con energia, amatevi e basta perché l’importante è questo. «L’amore non ha regole, non ha etichette, non segue un copione, non risponde alle tue aspettative. L’amore risponde a sé stesso; che tu lo voglia o no, che tu lo capisca o meno, l’amore farà, comunque, la sua strada.» Marina Soluri

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