di Martina Mauri, II E

Le donne ai tempi della Rivoluzione francese non godevano di alcun diritto, erano escluse dalla vita politica, erano sottoposte al controllo costante degli uomini e il loro principale compito era quello di prendersi cura della famiglia.

Il principio fondamentale su cui si basava il femminismo del Settecento  francese era la considerazione che gli esseri umani fossero naturalmente uguali, e dunque la discriminazione sessuale era innaturale: l’uomo e la donna dovevano essere soci, con pari diritti, all’interno del matrimonio; alle donne doveva essere consentito l’accesso all’istruzione superiore e ai lavori retribuiti più lautamente. Insieme alle rivendicazioni d’uguaglianza nel matrimonio e in campo economico, le nuove femministe chiesero il diritto di voto.
Uno dei pamphlets più importanti di questi esordi femministi fu il Cahier des doléances et réclamations des femmes, par Madame B.B. L’anonima autrice iniziava esprimendo la propria sorpresa riguardo il fatto che le donne sembravano restie a cogliere l’opportunità di farsi sentire, e si chiedeva se gli uomini avrebbero continuato a fare delle donne le vittime del loro orgoglio e dell’ingiustizia in un’epoca in cui la gente di tutti i ceti si apprestava ad affermare i propri diritti politici e gli schiavi e i neri rivendicavano la propria libertà. Ella affermava che proprio come un nobile non può rappresentare un popolano nelle assemblee, allo stesso modo un uomo non può rappresentare una donna. Infine, condannava il doppio criterio della morale sessuale, i privilegi di anzianità e quelli di mascolinità.
Quando gli Stati generali si riunirono e il governo rappresentativo iniziò la sua attività, le femministe cambiarono tattica: non si limitarono più a scrivere pamphlets o lettere ai giornali, ma cominciarono ad inviare delegazioni al governo e a servirsi come base dei club politici.

L’attivista francese Olympe de Gouges lottò tutta la vita per i diritti delle donne: nel settembre del 1791 pubblicò la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, un documento giuridico sul modello della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789. Affidò la propria cause alle promesse dell’Illuminismo francese, ma fu tradita da questo e, a soli 45 anni, finì sul patibolo, agli esordi della dittatura giacobina. «Uomo, sei capace di essere giusto? È Una donna che te lo chiede. Dimmi: chi ti ha dato il potere sovrano di opprimere il mio sesso?» Olympe de Gouges, in piena Rivoluzione francese, ebbe l’ardire di rivolgere questa domanda all’universo maschile. Ai deputati dell’Assemblea nazionale, ma anche a mariti, padri, fratelli, amanti, perché riconoscessero l’uguaglianza di diritti tra uomo e donna.  Non soddisfatta di tale impegno, nella sua breve vita si batté anche a favore del divorzio e si schierò contro la  pena di morte e la schiavitù. Olympe fu una donna audace e scomoda per la Rivoluzione, che Robespierre riuscì a far tacere celermente grazie all’affilata lama della ghigliottina, che sotto il suo governo non fu negata a nessuno. Accadde il 3 novembre 1793, in pieno Terrore giacobino, due settimane dopo l’esecuzione della regina, Maria Antonietta.

Olympe era però conscia dei suoi limiti: sapeva a malapena leggere e scrivere, come tutte le donne del suo tempo e ceto. E questo rappresentò uno dei maggiori crucci della sua vita. Olympe fu attaccata su tutti i fronti, accusata di occuparsi di argomenti non adatti a una donna e criticata per lo stile delle opere, ritenuto troppo diretto. La donna era tormentata da tali affermazioni e pregiudizio e affermava: «Devo ottenere un’indulgenza plenaria per tutti i miei errori che sono più gravi che leggeri: errori di francese, errori di costruzione, errori di stile, errori di sapere, errori di interesse, errori di spirito, errori di genio. In effetti non mi è stato insegnato niente, faccio un trofeo della mia ignoranza».

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