di Martina Mauri, II E

Confrontando il Padre Nostro, che Dante offre al lettore ai versi 1-24 del XI canto del Purgatorio con i testi latino (Pater noster) e greco (Πάτερ ἡμῶν), trasmessici dalla tradizione biblica, la prima differenza notevole consiste nell’ampliamento che il poeta apporta a questa versione. Raffinata e magnificamente narrativa, la versione di Dante si rivela maggiormente complessa e impegnata sintatticamente e contenutisticamente. La supplica riprende la preghiera del Vangelo secondo Matteo, nei confronti della quale Dante si mostra piuttosto fedele, se non per alcuni aspetti specifici. Il poeta mette in evidenza la rilevanza del senso di collettività nel momento di preghiera: le anime dei superbi stanno imparando a mostrarsi umili davanti a Dio e uguali le une con le altre nel corso della “purga”; essi inoltre non pregano soltanto per sé stessi ma anche per tutti i vivi che sono costantemente provati dal male infernale. Una caratteristica che desidero evidenziare consiste nella scelta stilistica di Dante di omettere il sintagma «pane quotidiano», preferendo invece «cotidiana manna», per sottolineare l’accezione spirituale di tale dono che non deve essere soltanto inteso come cibo ma anche come nutrimento dell’anima, ovvero la manna dal cielo di ispirazione biblica, dall’ebraico “mān”.

La traduzione oggi utilizzata nella liturgia cattolica e approvata nel 2020 risulta più fedele alla versione più snella del Vangelo secondo Luca. In questa recente versione è stata modificata l’espressione «non indurci a tentazione» in «non abbandonarci alla tentazione», al fine di mostrare maggiore fedeltà nei confronti dell’originale greco ed eliminare qualsiasi ambiguità linguistica collegata al termine “indurre”. Dante, dal punto di vista sintattico, non utilizza né l’uno né l’altro termine, parafrasa invece il significato di queste parole mettendo in primo piano la debole virtù umana che è facilmente piegata dal diavolo. Nella preghiera contemporanea non potrebbero essere inoltre presenti gli ultimi tre versi della preghiera di Dante, in cui si sottolinea che l’orazione è soprattutto dedicata a chi è ancora in vita ed è dunque ben lontano dalla Grazia eterna, in quanto assiduamente vittima del peccato. Nel testo dantesco sono presenti ulteriori passaggi assenti nella preghiera oggi in uso uso, per esempio nei versi 2-3 dell’XI canto viene
specificato che Dio non si trova in cielo per un desiderio di distanziarsi dall’uomo: egli è spinto invece dall’amore nei confronti delle sue prime creature, le figure angeliche e i cieli. Dante implora poi la pace, nei versi 3-5, affermando che gli uomini non siano in grado di raggiungerla da sé, nonostante tutti i propri sforzi, se non con l’ausilio della Grazia divina.

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