di Luca Gentilucci ID

Spesso molto distanti, spesso molto vicini, vecchi e giovani sono due realtà inevitabilmente differenti.

Lo evidenzia Publio Terenzio Afro, commediografo nato di etnia berbera ma di cultura e lingua latina, inventando ben volentieri personaggi che si trovano oppressi da regole ed obblighi sociali, cavalcando l’acceso contrasto della sua epoca tra conservatori e filoellenici.

Il personaggio di Terenzio talvolta è prigioniero delle istituzioni e di pregiudizi che lo portano a tagliarsi la lingua ed evitare di avere possibilità di risposta, tanto da cedere alla volontà della società molto rigida dei tempi o alla famiglia.

Altra epoca per Bob Dylan, anche lui autore “anglosassone” nella lingua e nell’adozione, ma non nelle origini etniche e culturali (il suo vero nome all’anagrafe è Robert Allen Zimmerman anche se il suo nome ebraico, da circonciso, è Zushe ben Avraham, ebreo ashkenazita nato e cresciuto a Hibbing, nel Minnesota, una città mineraria a ovest del Lago Superiore, ma di fatto egli è un newyorchese) che, più determinato, nella sua canzone The times they are a-changin’ non si piega ai giudici morali e conformisti della società, ma avvisa che lo scorrere dei tempi è palpabile ed è meglio farsi da parte se non si deve cavalcare l’onda del cambiamento.

Il rapporto vecchi-giovani si declina in quello tra genitori e figli. Terenzio in tre delle sue opere (Heautontimorumenos, Adelphoe, Andria) tocca il tema invertendo la tendenza tradizionale della palliata: l’autore latino approfondisce psicologicamente il personaggio andando a scavare le cause del suo comportamento ed i valori da cui è mosso.

Bob Dylan dedica un’intera strofa al rapporto tra genitori e figli ed esorta i vecchi a fare largo se non possono dare una mano, incitando ad una maggiore libertà. Dylan canta in anni che hanno segnato un punto di rottura per quanto riguarda le battaglie che vedono protagonisti giovani e vecchi. Ma anche la poesia di Terenzio nacque in un momento di rottura con la tradizione.

L’espressione “stare al passo coi tempi”, a mio parere, racchiude l’essenza del confronto tra le due controparti. Il tempo va sempre avanti ed è immutabile, a cambiare siamo noi umani.

Ogni essere umano cresce con dei valori, trasmessi dallo Stato, dalle famiglie, dalle religioni, dalle culture: talvolta bisogna farne tesoro, talvolta essi possono risultare invecchiati male oppure un valore comune a più persone può risultare nocivo alla libertà individuale.

Il ruolo di un “vecchio” non deve essere necessariamente quello di cambiare alla stessa velocità di un “giovane” perché ciò risulterebbe, oltre che difficile, anche incoerente con i valori che lo hanno cresciuto fino a quel momento. Gli si dovrebbe chiedere piuttosto di raccontare ed illustrare i propri principi di vita, lasciando libera scelta al giovane di appropriarsene o meno.

Paradossalmente non dovremmo preoccuparci del cambiamento, poiché il tempo scorre continuamente e anche i valori non sono mai gli stessi.

Ma lo scorrere continuo del tempo, che significa il cambiamento dei valori (connessi con le varie epoche), richiede aggiornamenti e quasi di evitare la perdita totale dei valori.

Accettare questo aggiornamento rende così paradossale ogni stravolgimento, che – a bene vedere – alla fine “stravolgimento” non è.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *