di Greta Evangelisti, II F

Quel fiore di gennaio – Capitolo I

20 gennaio, 1860

Oggi è il mio compleanno. Diciotto anni. È passato molto tempo, dai giorni in cui correvo spensierata in mezzo alla tundra innevata, tra lo spettegolare segreto delle renne-ancora più nascosto dalla rete di corna- e il vento del nord, una frusta; uno schiaffo che ti fa piangere, l’accoglienza a cui solo noi Russi siamo abituati. Prima che la pazzia la portasse al quel Gesto Orribile, la mamma correva sempre con me. Ah, quanto erano inzzaccherate allora le nostre sottane dopo la scampagnata, i capelli sempre spettinati e il volto bagnato: spesso cadevamo in mezzo alla neve, rischiando di buscarci il raffreddore.

E pape’nka ci guardava; ci guardava dalla finestra con il sorriso sulle labbra , mentre dietro di lui Ljudmila Vorovna, la governante, brontolava e predicava, predicava e brontolava. Sgranava ogni volta i suoi pareri su come si dovrebbe comportare una signorina beneducata, su cosa avrebbero detto i vicini di noi e su quanto la portavo sempre sul punto di svenire. Papen’ka allora rideva, dicendo che grazie a Dio le opinioni degli altri non mi toccavano. Sconfitta, Ljudmila tornava a lavorare, pregando in segreto affinché diventassi più raffinata.

Ancora adesso passeggio lungo quella tundra, ma non per svago, bensì per trovare la legna da gettare nella stufa. Il silenzio mi segue e la normalità obnubila la malinconia. Malinconia….parola strana da dire. Io, in quanto fanciulla, dovrei pensare agli amori. Che io sia invecchiata d’un colpo?

Magari la governante ha preso possesso del mio corpo e, grazie ai suoi pensieri, ai gesti ripetuti sempre alla stessa ora, piano piano sto avanzando verso quel cambiamento che ha sempre sognato per il mio bene. È intrinseco va bene, però è la verità. Alle soglie della mia maggiore età, sono sicura di essere vicina alla morte. Magari fossi come Natasha Rostova!

La vita avrebbe sempre una parvenza di spensieratezza, saprei fingere la mia noncuranza alle responsabilità della vita.

Basta lamentarmi! Come sono sciocca…

Stamattina mi sono alzata presto, per preparare la colazione a papen’ka. Prima di uscire, ho dato un’occhiata al mazzo di fiori di lavanda posato sul davanzale della finestra. Sapeva di infanzia: mamen’ka me lo regalava spesso per profumare la stanza.

La nostra casa non è così grande, ha una cucina prospiciente al salotto e un piano superiore. Il salotto è anche la stanza di papà.

Io gli suggerisco di trasferirsi al piano di sopra, ma si rifiuta, poiché la notte vuole chiudere gli occhi circondato dai suoi libri. Non ama leggere, ma prova una sorta di voluttà nel farsi osservare da quei tesori pregni di parole d’inchiostro, capaci di portarti nelle avventure di Igor Svjatoslavic o nella leggenda del principe Riujic, il padre della nostra Russia.

È strano.

Comunque, sono entrata in cucina, addormentata nell’oscurità del primo mattino. Nell’ombra, sul tavolo di legno, ho trovato un biglietto. Era spiegazzato, mangiato agli angoli. L’ho aperto e ho trovato la cosa più dolce a cui un uomo potesse mai pensare

“Aljushka, tanti auguri, cento di questi giorni. Spero che sia una bella giornata! Ti va di vederci, più tardi? Devo darti il mio regalo

Nikolaj”

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