di Antonio Montesano, III E
Molti giovani hanno brillato, brillano e brilleranno per le loro scoperte, le loro capacità e le loro idee. Purtroppo però a queste notizie positive non viene dato il giusto peso, perché schiacciate da una massa prepotente di notizie di cronaca, spesso nera. Poiché si sostiene che oramai non esistono più i giovani di una volta e l’ultima generazione è accusata di essere vuota o priva di scopi e progetti reali.
Viene fatta la più classica delle generalizzazioni –sempre molto nocive per comprendere fino in fondo l’essenza di una generazione, di un popolo o di una cultura– appena si sente parlare o si legge di un atto illegale o sconsiderato compiuto da un giovane: allora la società è pronta, lì, col dito puntato a incolpare la scelleratezza e la leggerezza della gioventù. È la chiave di lettura che può fare la differenza: il grande problema attorno a questa vicenda è proprio la generalizzazione. È più facile agire come la maggior parte delle riviste, facendo di tutta l’erba un fascio, e additando ai giovani le colpe dei singoli, senza nemmeno sforzarsi di immedesimari in questi ultimi. Su quali basi le azioni sbagliate di alcuni possono essere il biglietto da visita di un’intera generazione? Questa non è assolutamente esente da responsabilità e difetti –come tutte d’altronde– ma si tratta di una generazione che sta offrendo tanto di buono alla società attraverso volontariato, serate, manifestazioni sportive e azioni di sostegno, spesso proprio rivolte ai coetanei. Sono tante le iniziative portate avanti da menti giovani con l’obiettivo di “spaccare il mondo” e dire la propria: esse però vengono dimenticate, perché le notizie più crude sono quelle che fanno parlare di più e interessano di più. Troppo poco spazio i mass media stanno dedicando alla faccia buona, pulita e creativa della nostra generazione per lasciarne troppo agli omicidi, ai furti e agli smartphone, ritenuti dalla stragrande maggioranza il male assoluto di tutto ciò che i giovani fanno. Quello che la maggior parte dei media non tiene in considerazione è che una generazione è sempre figlia di quella precedente. Come si può dare la responsabilità di ogni sbaglio soltanto alla nuova generazione, senza tener conto che qualcuno l’ha cullata e cresciuta? Si parla di un tentato suicidio al giorno. Un ragazzo su cinque, tra i 10 e i 19 anni, ha problemi di salute mentale. Tre milioni di ragazzi e ragazze soffrono di disturbi del comportamento alimentare. I giovani mandano segnali inequivocabili di malessere e chiedono con i loro corpi che qualcosa cambi. Questo come può essere giustificato? Non è una follia continuare a pensare che siamo noi giovani a rovinare il futuro della società, quando è la società stessa a decidere come noi dobbiamo comportarci, cosa noi dobbiamo dire o fare, in primis nelle mura scolastiche? «Fai ingegneria, se puoi, perché poi al giorno d’oggi trovi lavoro subito». Ogni volta che qualcuno dice questa frase ad un ragazzo sanguinano le orecchie… Perché no, non faremo tutti ingegneria, men che meno perché dobbiamo trovare lavoro subito. Come si può, con tutte le possibilità che ci sono adesso, continuare a pensare di dover fare qualcosa solo per il lavoro, per i soldi o per una stabilità? A diciott’anni è un discorso da voltastomaco. Ed è giusto che sia così! Sarebbe allo stesso modo sbagliato affermare che tutto vada bene, che la nuova generazione non possa e debba migliorare: non sono mai esistite,non esisteranno generazioni senza problemi o colpe. Purtroppo un Pietro Maso degli anni novanta è sostituito da un Filippo Turetta dei giorni nostri: questo è indice che bisogna lavorare tutti insieme su una parte della società, una parte che c’è da sempre e i cui problemi non possono essere additatio ad una sola generazione. I cambi generazionali sicuramente influiscono nella società in modo diretto, ma è bene che sia così, è bene che le società cambino evolvendosi e guardando al futuro.
Noto fra i giovani della mia generazione una maggiore apertura su temi delicati che fino a qualche decina d’anni fa erano a tutti gli effetti dei tabù: ad esempio, oggi si fa molta meno fatica a dire di fare terapia. Seppur non ancora sdoganato del tutto, è comune tra gli adolescenti svolgere sedute psicologiche senza che i pazienti vangano visti come dei pazzi e senza che gli psicologi vengano visti come degli “strizzacervelli”.
Rispetto a trenta o quarant’anni anni fa è più facile anche fare coming-out.
Proprio su quest’ultimo tema c’è ancora moltissimo da lavorare, perché troppe volte si verificano aggressioni verbali e fisiche di natura omofoba.
Però al contempo bisogna anche prendersi i meriti dei miglioramenti che ci sono stati, frutti di lotte e sacrifici. La nostra è tutto fuorché una generazione vuota e senza obiettivi. Se ne contano a bizzeffe di giovani che hanno voglia di prendersi ciò che gli spetta lavorando, studiando e impegnandosi quotidianamente. Invito i giornalisti che parlano di generazione bruciata ad intervistare e ad ascoltare le persone che ogni giorno lavorano per migliorare qualcosa, ognuno nel suo piccolo, quotidianamente: sono sicuro che anche i più pessimisti si ricrederebbero.