di Veronica Angelini, II G

“Una sera si erano sentiti dei gridi da accapponare la pelle e Marianna con le game sporche di sangue era stata portata via, sì trascinata dal padre e da Raffaele Cuffa, strana l’assenza delle donne […] il fatto è che sì, ora lo ricorda, lo zio Pietro, quel capraro maledetto, l’aveva assalita e lasciata mezza morta… E dopo, sì dopo, quando Mariana era guarita si era visto che non parlava più, come se, zac, le avessero tagliato la lingua […] per regalarla poi a tredici anni a quello stesso zio che l’aveva violata quando ne aveva cinque […] pensando che il mal fatto era pur suo, tanto valeva che gliela dava in sposa.”

Dacia Maraini, “La lunga vita di Marianna Ucria”, Capitolo XXXIV

Come si può capire da queste poche righe, “La lunga vita di Marianna Ucria”, romanzo scritto da Dacia Maraini nel 1990, è un libro che parla della storia di una violenza e di un matrimonio riparatore, usanza molto frequente nel periodo in cui è ambientato il romanzo, ovvero la seconda metà del Settecento.

Si trattava infatti di un metodo di “risarcimento” nei confronti di una ragazza violentata da un uomo (nella maggior parte dei casi si trattava di ragazze minorenni), in quanto la giovane, avendo perso l’onore, non sarebbe più potuta andare in sposa. Questo tipo di matrimonio, per fortuna, fu abolito nel 1981, grazie alla coraggiosa azione di Franca Viola, la quale è stata la prima donna ad aver rifiutato un matrimonio riparatore pubblicamente. La ragazza, all’età di 18 anni, venne rapita da Filippo Melodia, che la violentò e la tenne prigioniera per 8 giorni, fino a quando non contatto il padre della ragazza per “contrattare” il matrimonio tra i due, essendo avvenuto il fatto. Il padre e la madre di Franca, finsero di accettare le nozze ma poi la polizia intervenne liberando la giovane e arrestando Filippo Melodia.

Lo stupro, purtroppo, solo da pochi anni è diventata un reato di violenza contro una persona. Pensare a ciò, oggi, ci fa rabbrividire, in quanto ci rendiamo conto che noi donne, in realtà, siamo libere solo da pochi decenni, mentre prima eravamo schiave delle decisioni degli uomini.

Marianna, a soli 5 anni, venne violentata dallo Zio Pietro, fratello di sua madre, e dopo questo evento la bambina aveva smesso di parlare. La ragazza crescendo aveva dimenticato quello che le era successo, riuscendo solo a ricordare che durante tutta la sua infanzia lo zio aveva avuto un grande affetto per lei. Questa dimenticanza, per lei, era diventata una salvezza, che la proteggeva dal ricordo di quel trauma che aveva vissuto. Nonostante quello che era accaduto, a tredici anni i genitori la diedero in sposa all’uomo, che era molto più grande di lei, e dopo quattro anni ebbero tre figlie. Il marito però, non era soddisfatto”, in quanto aspettava solamente il figlio maschio, ovvero colui che sarebbe stato il suo erede e a cui sarebbero spettate di diritto tutte le sue terre e il suo titolo. Dopo la nascita del tanto atteso figlio maschio Marianna si chiuse in se stessa, non riuscendo più ad uscire di casa, la grande villa a Bagheria, dove lei era rimasta a vivere, nonostante il marito preferisse stare a Palermo. Ma invece di lasciargliela vinta, Marianna per la prima volta si oppose, dimostrando che dietro al suo silenzio c’era una donna forte e capace di prendere decisioni per se stessa. Durante le sue giornate a Bagheria Marianna non è sola, in quanto a tenerle compagnia ci sono i libri e la scrittura. Leggere e scrivere la rese capace di comprendere la realtà e di decodificarla attraverso la cultura, riuscendo a trovare un rifugio in quel mondo che non le aveva dato il diritto di scegliere chi voleva essere.

La vita quotidiana della protagonista venne scossa dall’arrivo di Saro, il fratello della sua “serviente”, Filo, con cui instaurò un rapporto di amicizia che diventò presto un’attrazione reciproca tra i due. Nello stesso momento lo Zio Pietro Marito muore, e dopo un anno di lutto la giovane donna si ammala di pleurite. Durante la convalescenza si interroga sulla propria vita e sul perché non avesse amato un uomo invece di sposare suo zio. La risposta è chiara agli occhi del lettore: Marianna vive nella seconda metà del Settecento e una donna non poteva decidere chi sposare o di chi innamorarsi perchè le fanciulle dovevano andare in sposa a uomini scelti dai genitori, di ascendenza nobile, benestante, che potessero mantenerle e dare lustro alla famiglia. Ma al di là della situazione storica, Marianna era stata costretta dai genitori a sposare suo zio per coprire la violenza di un vecchio su una bambina, in una sorta di matrimonio riparatore.

Nel riallacciare i rapporti con il suo fratello maggiore Signoretto, da cui Marianna viene a sapere la triste verità legata al suo essere muta: la violenza sessuale da parte dello zio. Marianna, incredula di quanto il fratello le aveva rivelato, a man a mano comincia a ricordare, realizzando cosa le era successo, e trovando finalmente una risposta alla domanda “Perché ho dovuto sposare questo uomo?”. Leggendo le parole della povera Marianna, difficilmente non ci si può commuovere, in quanto, almeno per quanto mi riguarda, ho provato molta empatia verso la giovane ragazza arrabbiata e delusa perché nessuno le aveva mai raccontato quel grande segreto che lei stessa si era nascosta per anni e nessuno della sua famiglia aveva voluto “salvarla”.

A questo punto e con un livello di consapevolezza sempre più alto e fermo, Marianna decise di prendere in mano la sua vita e di partire verso una nuova città dove sperava di poter trovare il futuro che lei voleva per se stessa. Con lei portò Filo, la sua “serviente”, lasciandosi alle spalle la Sicilia, lo Zio Pietro, la violenza, l’amante Saro a cui aveva già provveduto a dare una moglie e tutto il suo passato, pronta per
cominciare a vivere.

Questo romanzo mi ha fatto riflettere molto, facendomi capire che oggi, rispetto alla protagonista del romanzo, sono fortunata, come donna, perché posso decidere chi essere, cosa fare, se sposarmi o no, e con chi. Fino a pochi anni fa la parola “amore” non esisteva per le donne che dovevano sposare chi i loro genitori concordavano senza avere il diritto di decidere. Questo problema esiste ancora oggi, poiché ci sono ancora paesi dove le ragazze, ancora bambine, sono date in sposa a uomini più grandi di loro, costrette a diventare mogli-bambine semplicemente per questioni di interesse economico. Ho pensato anche alla tragedia della povera Saman, uccisa dai genitori con l’aiuto dello zio e dei cugini per il semplice fatto che aveva rifiutato di sposare, a distanza, un suo lontano cugino in Iran mai conosciuto perché innamorata di un suo coetaneo con cui aveva intenzione di andare a convivere.

Consiglio dunque questo libro a tutti, sia alle ragazze, che ai ragazzi, alle prime per ricordare che oggi abbiamo una scelta, grazie alla sofferenza ed al coraggio di altre donne, ai secondi per ricordare loro che questa scelta la devono rispettare.

By Veronica Angelini

II G, caporedattrice.

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