di Emma Franceschi, V A

Durante l’Assemblea di istituto del 20 dicembre 2024, abbiamo avuto il piacere di incontrare Emanuele Trevi, scrittore romano nato nel 1964, noto per opere come Due vite (Premio Strega 2021), Qualcosa di scritto e Il libro della gioia perpetua. La sua capacità di esplorare le connessioni tra memoria, luoghi e narrazione è stata al centro di un dialogo affascinante che ha offerto spunti di riflessione sulla scrittura e sull’esperienza umana.

Una delle prime domande poste a Trevi riguardava il legame tra identità personale e luoghi. Nel rispondere alla domanda su come credesse che l’identità personale si intrecci con i luoghi in cui viviamo o che attraversiamo, lo scrittore ha evidenziato come i luoghi possano plasmare la nostra identità, diventando specchi delle nostre esperienze e catalizzatori della memoria.

Quando gli è stato chiesto come nasca l’ispirazione per descrivere un luogo, Trevi ha evidenziato che il processo è un intreccio tra memoria e immaginazione. «Entrambe sono fondamentali», ha affermato, spiegando come la memoria sia in grado di conferire concretezza all’autenticità, mentre l’immaginazione permetta di superare i limiti del reale per evocare emozioni universali.

Un altro tema emerso è stato l’equilibrio tra realismo e capacità evocativa. «Quando si racconta un luogo – gli abbiamo chiesto – è più importante l’aderenza alla realtà o la capacità di evocare sensazioni universali?» Trevi ha risposto sottolineando come le due dimensioni non siano in conflitto. «L’aderenza alla realtà è indispensabile  –ha detto –ma solo sfruttando la realtà è possibile evocare sensazioni capaci di risuonare nell’esperienza del lettore».

Parlando di luoghi che hanno ispirato la sua scrittura, Trevi ha ricordato un luogo della sua infanzia, un posto al quale era molto legato da bambino. Questo spazio, ha spiegato, si è trasformato in un elemento narrativo grazie al potere della memoria, che permette di rivivere l’esperienza con una profondità nuova e consapevole.

Tuttavia, non tutti i luoghi o gli incontri trovano una traduzione letteraria. Alla domanda se ci fosse un luogo o un incontro che non è mai riuscito a narrare, Trevi ha accennato alle difficoltà che emergono quando ci si confronta con esperienze troppo intime o complesse, sottolineando come a volte il linguaggio non riesca a cogliere appieno la densità di certe emozioni.

Uno dei momenti più riflessivi dell’intervista è stato quando abbiamo parlato della memoria come ponte tra passato e presente. Trevi ha spiegato come il ricordo non solo influenzi il modo in cui ci relazioniamo agli altri, ma possa anche rivelare parti di noi stessi che credevamo dimenticate. 

Abbiamo poi discusso dell’incontro con l’altro, un tema centrale nella sua scrittura. Alla domanda se la scrittura possa colmare la distanza tra noi e ciò che non comprendiamo, Trevi ha riflettuto sull’idea che la narrazione possa offrire un ponte verso l’altro, accogliendone la complessità senza la pretesa di comprenderne ogni aspetto.

Abbiamo chiesto a Trevi quale sia il valore del non detto nella scrittura. «Lasciare spazi vuoti – ha detto – è fondamentale per permettere al lettore di entrare nella storia e farla propria». Questo equilibrio tra rivelazione e protezione, secondo Trevi, riflette la sua idea che la scrittura debba sempre mantenere un margine di mistero, per stimolare il lettore a un’interazione più profonda.

L’incontro con Emanuele Trevi è stato un viaggio attraverso la complessità del rapporto tra luoghi, memoria e scrittura. Le sue risposte, dense di riflessioni, ci hanno offerto una prospettiva nuova sull’arte del narrare e sull’importanza di abitare i luoghi non solo fisicamente, ma anche emotivamente. Trevi ha sottolineato che ogni incontro, sia con un luogo che con una persona, ci invita a riflettere sulla nostra identità e sul nostro rapporto con il mondo, lasciando spazio alla trasformazione interiore.