di Virginia Puma, III D
Sei un cuore di natura cagionevole ma permettimi una richiesta:
potresti smettere di palpitare? Un solo secondo mi basta.
Vorrei non udire, anche per un solo misero attimo, l’incessante rumore del mondo.
Smettere di percepire qualsiasi sensazione perché il sangue non arriva al cervello.
Strapparmi via da questa prigione di carne.
Sei solo un muscolo involontario che non ha avuto altra scelta,
non puoi desiderare il riposo non avendolo mai conosciuto.
Se ti fermassi non mi feriresti più,
tu però godi nel farti calpestare da tutto ciò che mi circonda.
Mi riempi l’animo di bugie e ti fai ingannare di proposito
perché sai chi sarà a strisciare per terra con le mani consumate in cerca di una certezza.
Alle volte mi costringi a chiedermi se sei realmente presente
o se ti stai sciogliendo tra le mie costole come neve sporca:
forse sono queste le rare occasioni in cui decidi di rallentare per darmi tregua.
Vorrei tu fossi di plastica.
Quando trasformi il senso di colpa in acido corrodendomi le ossa.
Quando rendi l’euforia una scarica elettrica tra i nervi sottopelle.
Quando accumuli la tristezza nelle tempie e negli arti.
Quando mi righi il viso di solitudine.
Quando fai liquefare la paura colmandomi i polmoni.
Quando incendi l’angoscia nel mio stomaco e il fumo mi secca la gola.
Ma non posso privarmi di te, non funzionerei.